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mercoledì 20 ottobre 2010

LA CHIESA, LA QUESTIONE MERIDIONALE E IL NEOMERIDIONALISMO

"Il documento della Conferenza Episcopale Italiana sulla QUESTIONE MERIDIONALE, dal titolo “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno” ( febbraio 2010) , è il testo più rivoluzionario dell’ultimo decennio sul Sud.

Un messaggio forte, chiaro, innovativo, di rottura, persino drammatico.

Le densissime venti pagine si articolano in 20 capitoli straordinari,compresa l’introduzione. Riassumiamo la sostanza del documento.

INTRODUZIONE

1-“La Chiesa in Italia e la questione meridionale”
La Chiesa afferma che intende intervenire,in modo diretto e chiaro, nel dibattito in corso sulla questione meridionale, che coinvolge tutti.
Il concetto centrale, che viene ribadito, è che la QUESTIONE MERIDIONALE CONTINUA A PERSISTERE.
Nevralgica è la partita sul federalismo.
Più in generale, bisogna fare i conti con un PLURALISMO etico e culturale, accelerato dalla globalizzazione, a partire dal fenomeno epocale dell’immigrazione.
Viene riaffermato il principio cardine della SOLIDARIETA’ NAZIONALE.
Le Regioni del Sud hanno storicamente contribuito allo sviluppo del Nord.
La Chiesa rivolge un appello alla volontà di AUTONOMIA e di riscatto del Sud, perché sappia contare , al massimo, anche sulle sue forze.

2 e 3- “Guardare con amore al Mezzogiorno” e “L’eucarestia: fonte e culmine della nostra condivisione
I mutamenti globali rischiano di ISOLARE e EMARGINARE il Sud.
Lo SVILUPPO dei popoli è soprattutto “PENSARE INSIEME”. Un pensiero solidale. Un amore intelligente e solidale ,“ perché nessuno, proprio nessuno nel Sud deve vivere senza SPERANZA”.
La parola- chiave , religiosa e civile, è CONDIVISIONE. Condivisione eucaristica, sotto il profilo religioso. Condivisione di destini, progetti e speranza, sotto il profilo civile. Condivisione articolata in tre momenti: osservazione e analisi,progetto,responsabilità operativa e attuativa.

I-“ IL MEZZOGIORNO ALLE PRESE CON VECCHIE E NUOVE EMERGENZE”

1-“ Che cosa è cambiato in venti anni”
Vi sono stati 6 mutamenti: la geografia politica con nuovi partiti;l’elezione diretta dei rappresentanti nelle istituzioni;la fine dell’economia pubblica e dell’intervento straordinario;cambiato il rapporto tra Sud e Mediterraneo;la globalizzazione;l’allargamento ad Est della Unione Europea.

5-“Uno sviluppo bloccato”. Per 6 motivi.
-Le politiche regionali di sviluppo sono risultate problematiche,con luci e ombre,controverse da valutare.
-Il metodo delle elezioni dirette non è stato risolutivo.
-E’ esplosa la questione ecologica e delle ecomafie.
-La globalizzazione ha indotto maggiori e aspri livelli di competitività.
-La grande crisi globale del 2007-2010 rischia di emarginare definitivamente il Sud.
“Il complesso panorama politico ed economico nazionale e internazionale − aggravato da una crisi che non si lascia facilmente descrivere e circoscrivere − ha fatto crescere l’egoismo, individuale e corporativo, un po’ in tutta l’Italia, con il rischio di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo”.

6-“Modernità e modernizzazione”
-Nel Sud vi è stata una MODERNIZZAZIONE CONTRADDITTORIA e incompiuta, “una modernizzazione senza modernità”.Vi è stata la distruzione della CIVILTA’ CONTADINA, senza una evoluzione ragionevole.
-Persiste il retaggio di particolarismo familista,fatalismo,violenza, cui si aggiungono individualismo e nichilismo.
-La condizione femminile registra difetti e distorsioni, sebbene le donne rappresentino un patrimonio di civiltà del Sud,per cui il Sud resta debitore nei confronti delle sue donne.

7- “Europa e Mediterraneo”
-La globalizzazione comporta, per il Sud, opportunità e rischi, da governare. Il Sud è carente nella capacità progettuale e nelle performances attuative e gestionali dei progetti di sviluppo. Anche per la debolezza del tessuto sociale.
-La novità consiste nella rinnovata CENTRALITA’ DEL SUD NEL MEDITERRANEO. Il Mediterraneo è la vera e propria OPZIONE STRATEGICA del Sud.
Sul versante dell’immigrazione,il Sud , nel Mediterraneo, è il grande laboratorio della “ cittadinanza aperta”.

8-“ Per un federalismo solidale”
-Occorre coniugare SUSSIDIARIETA’ ( responsabilità, autonomia) e SOLIDARIETA’, per combattere l’egoismo sociale ( del Nord), da una parte, e l’assistenzialismo ( del Sud), dall’altra. Necessita un federalismo vero,solidale,realistico e unitario. Il federalismo fiscale, di per sè, anche con una buona attuazione, non è sufficiente e potrebbe aggravare le fratture tra Nord e Sud.
-Lo Stato centrale deve impegnarsi fattivamente sul fronte delle infrastrutture, della lotta alle mafie e per l’integrazione sociale.
-Vanno assicurati eguali diritti di cittadinanza,contro il rischio di cittadinanze differenziate per collocazione territoriale.

9. “Una piaga profonda : la criminalità organizzata”
-Le mafie mettono in crisi l’intero sistema democratico del Paese,contaminano negativamente l’intera Italia,sono un problema di portata generale, perché hanno messo radici in tutta Italia, sono una questione nazionale.
-Le mafie sono “male “ e “ peccato”,sono “ strutture del peccato” ( il “ peccato mafia”),e, quindi, sono da fronteggiare e sradicare, in modo radicale e frontale.

10- “Povertà,disoccupazione,emigrazione”
-Il Sud risulta- negli anni- più povero e disoccupato, soprattutto sul fronte giovanile.
-Il fenomeno nuovo, più inquietante,è costituito dai nuovi migranti meridionali, prevalentemente giovani altamente e mediamente secolarizzati.

II- “ PER COLTIVARE LA SPERANZA”

11-12-13-14-15-16-17-18-19-20 - “ Un nuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale”

-Si deve poter liberare un nuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale, in primo luogo, tra i giovani,tramite un associazionismo propulsivo.
-Vi è bisogno della mobilitazione di una NUOVA GENERAZIONE DI POLITICI.
-La società civile e la comunità ecclesiale, pur a fronte di un Sud parzialmente differenziato,devono produrre un IMPEGNO UNITARIO,perché la QUESTIONE MERIDIONALE E’ UNITARIA.In particolare le 8 regioni del Sud devono COORDINARSI TRA LORO e agire unitariamente.
-Il Sud ha grandi risorse da valorizzare.
-Le risorse della RECIPROCITA’ e la cura per l’EDUCAZIONE.
-Il ruolo propulsivo e attivo delle Comunità cristiane: “ il bene vince”,
“il cambiamento è possibile”.
-Vi è bisogno di CONDIVISIONE ECCLESIALE e reciprocità tra TUTTE le Chiese d’Italia.
-Al primo posto le sfide culturali,per la cultura del BENE COMUNE.
-Dispiegare un impegno per il CAMBIAMENTO.
-Investire in LEGALITA’ e FIDUCIA. Rilanciare l’umanesimo cristiano.
-La priorità è la SFIDA EDUCATIVA. Anche con SCUOLE DI FORMAZIONE POLITICA. Innanzitutto,imitare i testimoni : Don Pino Puglisi,don Peppe Diana,Rosario Livatino. Insomma, PANE e VANGELO.
-L’invito è al coraggio e alla speranza. Un appello: “IL CORAGGIO DELLA SPERANZA”. No alla rassegnazione. “LA TRASFORMAZIONE E’ POSSIBILE”.

Ecco, e lo diciamo con umiltà,in punta di piedi,noi del Partito del Sud condividiamo completamente questo documento, bellissimo e rivoluzionario, della Chiesa italiana.

Questo documento è alla base del lancio del PSUD, quale partito popolare, democratico,organizzato e di massa.

Fratelli meridionali,credenti e non, applichiamolo questo progetto,assumiamo la sfida della speranza."

mercoledì 13 ottobre 2010

Poverini 'sti atei: non sanno stare senza i loro idoli. Cristo ci ha mostrato come si può perdere Dio, per amore di Dio!!

L’ateo Chiaberge: «gli insulti dell’UAAR dimostrano la vittoria della religione»


L’ateo de Il Fatto Quotidiano, Riccardo Chiaberge, ha già avuto modo di prendere in giro gli squilibrAtei dell’UAAR e le loro infantili iniziative (vedi Ultimissima 24/9/10). Aveva avuto parole di scherno anche per gli scientisti italiani: «confesso che quando sento parlare Odifreddi o Margherita Hack, mi viene immediatamente una crisi mistica e corro alla più vicina parrocchia». Ovviamente i militanti uaarini (circa 4000, meno delle Murciélago prodotte dalla Lamborghini), hanno fatto girare la voce e si sono dati appuntamento sul suo blog per ricoprirlo di insulti. E lui ringrazia e ironizza: «non posso che ringraziare di cuore tutti gli intervenuti, compresi i tantissimi (forse la maggioranza) che mi hanno ricoperto di contumelie. E poi dicono che la religione non interessa a nessuno, che viviamo in un’epoca di nichilismo e di aridità spirituale. Altro che. Il nome di Dio, per chi crede come per chi non crede, è ancora capace di scatenare grandi passioni. Devo dire, con un certo rammarico, che alcuni dei commenti più acuti sono venuti proprio da lettori credenti, mentre alcune delle castronerie più sesquipedali sono state scritte da sedicenti razionalisti, che pretendono di saper usare il cervello meglio degli altri».

Veder scannarsi fra di loro i fondamentalisti atei ricorda molto le liti fra il fondamentalismo protestante e quello musulmano. Nel nuovo articolo (preso anch’esso da Il Fatto Quotidiano), c’è l’occasione per ridicolizzare il leader dell’ateismo idiota, Richard Dawkins: «Dawkins definisce la religione una “malattia mentale” , un virus, un “vizio” di cui bisogna liberarsi, si considera investito della missione di aprire gli occhi a chi è stato “imbottito” di false credenze. Per conto mio, non è un laico razionalista, ma un integralista fanatico come quelli che dice di voler combattere. E quelli tra voi che paragonano i sacerdoti, di qualunque fede, a Wanna Marchi o agli aguzzini della Santa Inquisizione, sono accecati dal pregiudizio, avrebbero bisogno loro, forse, di un bravo strizzacervelli. La fede in Dio non è sempre un segno di stupidità o di ignoranza, così come l’ateismo non è di per sé sinonimo di intelligenza. La storia è piena di grandi geni credenti, da Pascal a Galileo e Newton, e di grandi imbecilli, o di grandi criminali atei, a cominciare da Stalin. E chi sostiene, come Dawkins, che tutte le guerre che insanguinano il mondo siano conflitti religiosi, non sa (o finge di non sapere) nulla di geopolitica».

La religione è un’ossessione per i razionalisti moderni: «I figli e nipoti dei sessantottini sono stati allevati in famiglie dove la religione era un argomento proibito o rimosso, proprio come il sesso nelle famiglie degli anni Cinquanta. C’è un bigottismo, un puritanesimo laico, che respinge la problematica religiosa come pura superstizione, come un’eredità medievale. Datemi retta, bisogna rompere il tabù».

lunedì 11 ottobre 2010

Diversità di Carismi.

Un giorno il Priore dei Teatini invita i superiori dei conventi vicini.

A pranzo si ritrova con un Benedettino, un Cappuccino, un Domenicano, un Salesiano, un Gesuita, ed un Canonico del Clero diocesano.

Stanno cantando tutti insieme il "Benedicite" prima di pranzo.A questo punto, va via la luce.

Con il black out, si fanno avanti le diversità di vocazioni.



Il Benedettino, che sa a memoria il canto, continua a cantare imperterrito.



Il Cappuccino, Ordine Penitente, si getta a terra, si percuote il petto, comincia a gridare che è successo a causa dei suoi peccati e che tutto vada in sconto, espiazione e riparazione dei suoi e di quelli del mondo intero.



Il Domenicano, Ordo Predicatorum, si lancia in un sermone: "La Luce. Si fa presto a dire Luce. Cos'è la luce? E poi, quale luce? Luce Increata, cioè Dio Stesso. Luce creata si deve distinguere: luce del primo giorno o luce del quarto giorno? Se è luce del primo giorno è la luce del Fiat Lux. Se è la luce del quarto giorno è la luce del sole. Bla, bla, bla, etc...".



Il Salesiano, Ordine degli oratori, organizza subito un gioco a mosca cieca al buio.



Il gesuita si interroga ad alta voce quale obbedienza gli potrebbe chieste ora il suo superiore nel caso fosse là, ma se per caso fosse là quale caso dovrebbe seguire...



Il Teatino si alza e cambia la lampadina.

E così tutti hanno modo di vedere che il canonico era tutto intento a mangiare.



(Absit iniuria verbis...)

Circa Pio XII

AVVISO!!!!

Vi invito a leggere, imparare, e fare tesoro degli articoli che vi riporto, perché nessuno di noi cada nella trappola di sentirsi parte di una Chiesa traditrice dell’uomo.

ANZI, PENSO CHE QUANDO LA BARBARIE MONTERA’ PIÙ DI QUANTO OGGI NON SIA GIÀ ECCEDENTE… LA CHIESA CI SARA’…, SEMPRE!!


Lo storico ebreo: «il popolo ebraico non ebbe un amico più grande di Pio XII»
Non meno di 700.000 ebrei furono salvati dall’attività caritativa della Chiesa. Sono queste le cifre di cui parlano gli storici ebrei per dimostrare la grande altezza morale e umanitaria di Papa Pacelli (Pio XII). Uno di questi è l’ebreo David Dali, professore di storia ebraica all’Universittà di Hartfordche, il quale ha scosso ancora una volta il dibattito sulle azione della Chiesa durante l’Olocausto: «Nel corso del ventesimo secolo il popolo ebraico non aveva alcun amico più grande», ha dichiarato. E ancora: «Durante la seconda guerra mondiale, Pio XII ha salvato vite ebraiche più di chiunque altro, anche più di Oskar Schindler e Raoul Wallenberg».



Cosa fece realmente Pio XII. Durante un’intervista apparsa su ReligionEnLibertad, lo storico ebreo, ha parlato delle leggende nere nate su questa vicenda storica: «c’è una nuova generazione di giornalisti impegnati a screditare gli sforzi documentati di Pio XII per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Gli oppositori di Eugenio Pacelli ignorano o eliminano lo studio illuminatore di Pinchas Lapide, teologo ebreo ed ex-console generale di Israele a Milano, il quale ha incontrato molti ebrei italiani sopravvissuti all’Olocausto. Lapide documenta come Pio XII ha incoraggiato a salvare almeno 700mila ebrei dai nazisti. Secondo altri calcoli, la cifra sale a 860.000». Lo storico continua: «abbiamo moltissima documentazione che dimostra come il Pontefice, durante l’occupazione tedesca di Roma, ha segretamente dato istruzioni al clero cattolico di salvare ogni vita umana possibile, con tutti i mezzi e con ogni rischio. In questo modo, migliaia di ebrei italiani vennero salvati dalla deportazione. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono, in quegli anni l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Nella sola Roma, 155 conventi e monasteri hanno dato rifugio a circa 5000 ebrei. Almeno 3000 ebrei fuorno salvati nella residenza pontificia di Castel Gandolfo».

Motivo del silenzio pubblico di Pio XII. Il professor Dali si pronuncia anche sul silenzio pubblico che decise di tenere Pio XII: «fu una strategia efficace per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione. Una esplicita e dura denuncia contro i nazisti da parte del Papa avrebbe infatti significato un invito alla ritorsione, aggravando la situazione degli ebrei di tutta Europa. Abbiamo le prove che, quando il vescovo di Münster volle prendere posizione contro la persecuzione degli ebrei in Germania, i leader delle nostre comunità ebraiche nella sua diocesi, lo pregarono di non farlo. Avrebbe altrimenti provocato una repressione più dura contro di loro». A chiedere il silenzio di Pio XII fu anche la resistenza cattolica in Germania. Per un approfondimento potete leggere l’articolo su Ragione e Fede.

L’ex rabbino capo di Roma, Eugenio Zolli, che si convertì al cattolicesimo nel 1945, ha dichiarato nel suo libro: «Ciò che il Vaticano ha fatto per gli ebrei resterà indelebilmente ed eternamente scolpito nei nostri cuori… hanno fatto cose che resteranno per sempre un titolo di onore per il cattolicesimo» (Zolli, Prima dell’alba, autobiografia autorizzata, San Paolo 2004, EAN). Anche in questo caso, come in quello del crocifisso, sono gli ebrei i migliori alleati. La stessa Pay the way foundation, nata per raccogliere documenti in difesa di Pio XII, è stata creata da Gary Grupp, ebreo di New York.

Lo scrittore Appelfeld: «ho visto preti e suore cattoliche salvare bambini ebrei».


Uno dei più importanti scrittori israeliani viventi è Aharon Appelfeld. Ha ricevuto una ventina di attestati, premi letterari, lauree honoris causae che lo hanno reso celebre in tutto il mondo e i suoi romanzi sono tradotti in una trentina di lingue. Il suo ultimo lavoro, Un’intera vita (Guanda 2007), sarà in Italia il 17 luglio. E’ di religione ebraica, ed ha raccontato di essere riuscito a scappare da un campo nazista, al contrario dei suoi familiari. Durante un’intervista ad Avvenire, parlando del libro e del tema della guerra, ha dichiarato: «Durante la seconda guerra mondiale ci furono bambini ebrei salvati da preti e suore cattoliche. Io l’ho visto con i miei occhi, nella mia città, Czernowitz, in Polonia. Ho davanti agli occhi l’immagine di una suora che nel ghetto salva un bambino ebreo. E questo era qualcosa di pericoloso perché gli ebrei erano condannati a morte, quindi chi cercava di metterli in salvo lo faceva a rischio della propria vita. Coloro che trassero in salvo un ebreo durante la seconda guerra mondiale furono davvero degli eroi. Anche in Italia incontrai gente meravigliosa; fu la prima volta che ciò avvenne durante la guerra: venivo dai campi, alcuni italiani mi diedero cibo e vestiti, furono molto gentili».

Scoperta lettera di Pio XII in cui chiede 200mila visti per gli ebrei.
La Pave the Way Foundation (PTWF) ha intrapreso un progetto di recupero di documenti del periodo di guerra per diffondere quanti più documenti e testimonianze oculari possibili per portare alla luce la verità. Gary Krupp, presidente della Fondazione, ha affermato a Zenit.it che “finora abbiamo oltre 40.000 pagine di documenti, video di testimoni oculari e articoli sul nostro sito www.ptwf.org per aiutare gli storici a studiare questo periodo”. Molti di essi riguardano documenti vaticani di grande importanza e sopratutto l’operato di Pio XII. Lo storico e rappresentante della PTWF della Germania, Michael Hesemann, ha visitato regolarmente l’Archivio Segreto vaticano aperto di recente. Il suo ultimo studio dei documenti originali pubblicati in precedenza rivela azioni segrete per salvare migliaia di ebrei fin dal 1938, tre settimane dopo la Notte dei Cristalli. Il Cardinale Eugenio Pacelli (Papa Pio XII) inviò infatti un telex alle Nunziature e alle Delegazioni Apostoliche e una lettera a 61 Arcivescovi nel mondo cattolico richiedendo 200.000 visti per “cattolici non ariani” tre settimane dopo la Notte dei Cristalli. Inviò anche un’altra lettera datata 9 gennaio 1939. Evidentemente il termine “cattolici non ariani” è una copertura poiché occorreva essere sicuri che non ne venisse fato un uso sbagliato. Il Concordato del 1933 firmato con la Germania infatti, garantiva che gli ebrei convertiti sarebbero stati trattati come cristiani, e usare questa posizione legale permise a Pacelli di aiutare i “cattolici non ariani”. Una prova di questo è che Pacelli chiede che gli Arcivescovi si preoccupino di “salvaguardare il loro benessere spirituale e di difendere il loro culto religioso, i loro costumi e le loro tradizioni”. Per il professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali, le istruzioni di Eugenio Pacelli nella lettera del 9 gennaio 1939 non lasciano spazio a dubbi sulle intenzioni della Santa Sede e del futuro Pontefice.

Quando Pio XII salvò migliaia di ebrei nascondendoli nei conventi.
Una delle leggende nere che il laicismo ha coltivato maniacalmente riguarda il presunto anti-semitismo di Pio XII. Su l’Ottimista è uscito un articolo in cui si racconta di come moltissimi ebrei durante il periodo nazista vennero nascosti e salvati all’interno dei monasteri, su esplicita richiesta di Pio XII. Ecco un elenco di citazioni che aiutano a smentire queste storielle: Luciano Tas, autorevole rappresentante della comunità ebraica romana già direttore di Shalom, ha detto: “centinaia di conventi, dopo l’ordine in tal senso impartito dal Vaticano, accolsero gli ebrei, migliaia di preti li aiutarono, altri prelati organizzarono una rete clandestina per la distribuzione di documenti falsi”. . Lo storico Renzo De Felice, massimo esperto internazionale del fascismo, afferma: “l’aiuto della Chiesa nei confronti degli ebrei fu notevolissimo e in misura sempre crescente, esso fu prestato non solo dai singoli cattolici, ma da quasi tutti gli istituti cattolici e da moltissimi sacerdoti. Aiuto che, del resto, era già in atto da anni nei paesi occupati dai nazisti, In Francia come in Romania, nel Belgio come in Ungheria”. In Italia, dove l’intervento della Chiesa poteva coprire tutto il territorio, l’84% degli ebrei fu salvato dalla persecuzione. Nella sola città di Roma, la Comunità ebraica ha attestato che la Chiesa ha salvato 4.447 ebrei dalla persecuzione nazista. Dalla lista dei luoghi dove vennero nascosti gli ebrei compilata nel 1945 risulta che 100 conventi di suore, 45 case di religiosi e 10 parrocchie offrirono loro asilo. La punta più alta di rifugiati fu raggiunta dai francescani di San Bartolomeo all’Isola che ne nascosero 400. In un attestato delle Comunità israelitiche italiane che si trova al Museo della Liberazione in Via Tasso a Roma, si trova scritto: “Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra, (Pio XII, ndr) ed esprimere il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista”. Gideon Hausner, procuratore Generale israeliano, il 18 ottobre 1961 riferì: “Il clero italiano aiutò numerosi israeliti e li nascose nei monasteri e il Papa intervenne personalmente a favore di quelli arrestati dai nazisti”. Albert Einstein su Time Magazine del 23 dicembre 1940 ha scritto: “Soltanto la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler mirante a sopprimere la verità. Non avevo mai avuto un interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento per essa un grande amore ed ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la libertà intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che prima avevo disprezzato, ora lodo incondizionatamente”. Il Rabbino Maurice Perlzweig, direttore del World Jewish Congress ha confermato: “I ripetuti interventi del Santo Padre in favore delle comunità ebraiche in Europa hanno evocato un profondo sentimento di apprezzamento e gratitudine da parte degli ebrei di tutto il mondo”. Alla morte di Pio XII, Golda Meir, politica israeliana, scrisse: “Quando il terribile martirio si abbatté sul nostro popolo, la voce del Papa si elevò per le sue vittime. La vita del nostro tempo fu arricchita da una voce che chiaramente parlò circa le grandi verità morali. (…) Piangiamo un grande servitore della pace”. Inutile ricordare l’ex rabbino capo di Roma, Eugenio Zolli, che si convertì al cattolicesimo nel 1945, anche grazie alla riconoscenza verso la Chiesa: “Ciò che il Vaticano ha fatto resterà indelebilmente ed eternamente scolpito nei nostri cuori… hanno fatto cose che resteranno per sempre un titolo di onore per il cattolicesimo” (Zolli, Prima dell’alba, autobiografia autorizzata, San Paolo 2004, EAN) . Innumerevoli altri testimonianze sono state raccolte sul sito Ragione e Fede.

Nuovi documenti: Pio XII contro Hitler.
«Per noi Hitler è l’ Anticristo». Dopo 50 anni dalla morte del cardinal Celso Costantini, segretario della Congregazione della Propaganda Fide, emergono le sue memorie e documenti inediti. Esce infatti: Diario inedito «1938-1947. Dal Corriere della Sera apprendiamo venerdì 28 maggio il volume è stato al presentato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che consegnerà al curatore del volume, monsignor professor Bruno Fabio Pighin, una medaglia per sottolineare l’ alto valore dell’opera pubblicata da Marcianum Press. Sul testo si è anche svolto un convegno presso la Sala Conferenze della Camera dei Deputati. Il 19 aprile 1940 Pio XII disse a Alberto De Stefani, ex ministro del Tesoro e delle Finanze del primo governo Mussolini, critico e in rotta di collisione col fascismo: «se l’ Italia dovesse entrare in Guerra accanto alla Germania bisognerà fare i conti col sentimento dell’ Episcopato e del clero italiano. Per noi Hitler è un persecutore della religione, è l’Anticristo». Il 13 maggio 1940 l’ Ambasciatore Alfieri nominato rappresentante d’Italia a Berlino, fu ricevuto dal Santo padre. Egli parlò al Pontefice dell’irritazione di Hitler per le sue recenti manifestazioni pubbliche (in particolare i messaggi inviati ai governanti di Danimarca, Belgio, Olanda dopo l’ invasione nazista ndr). Ma Pio XII rispose serenamente di non aver compiuto che il proprio dovere e che non poteva sentirsi impressionato dalle reazioni che ciò aveva provocato o avrebbe potuto in seguito provocare: “non temo di andare anche in un campo di concentramento”, disse. Il Corriere della Sera aggiunge che il libro “costituisce sicuramente un nuovo importante documento per valutare la figura storica di Papa Pacelli, con cui Costantini ebbe strettissimi rapporti a motivo del suo incarico”. Fu proprio Costantini, inoltre, a mettere in salvo Alcide De Gasperi nel palazzo di Propaganda Fide durante il setaccio dei nazisti a Roma. Il diario, scritto 70 anni fa, in tempi non sospetti – prima cioè che venissero mosse infamanti e infondate accuse a Papa Pacelli – contribuisce a distruggere un impianto costruito con la sabbia, sulla base di ignobili pregiudizi contro Pio XII.

L’antifascista Francesco Nitti: «grazie a Pio XII per l’aiuto agli ebrei».
Uno dei più autorevoli esponenti dell’antifascismo, membro del Partito Radicale Storico, politico decisivo nel corso della prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra italiano, fu sicuramente Francesco Saverio Nitti (1868-1953). Come è emerso dall’archivio Nitti, presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino, incrociato con quello vaticano, ebbe relazioni molto strette e di profonda stima con Pio XII, sia prima che dopo la guerra. Lo ha riportato l’esperto di storia contemporanea Roberto Perici su l’Osservatore Romano. Interessante quello che Nitti disse a fine guerra, prima che le leggende su Pio XII cominciassero a formarsi. Al teatro San Carlo di Napoli, il 3 ottobre 1945, dedicò a Pio XII la parte conclusiva della lunga orazione, lodando l’aiuto che, “per volontà del Pontefice”, le strutture ecclesiastiche avevano prestato ai perseguitati e agli ebrei. Perseguitati, tocca ricordarlo, a causa della fede nel darwinismo sociale (come ha anche confermato lo storico Bernard Bruneteau nel suo celebre “Il secolo dei genocidi” (Il Mulino 2006), e ripreso da Corriere della Sera). Il discorso avvenne dopo 8 mesi dall’annuncio della conversione al cattolicesimo del Rabbino Capo di Roma, Eugenio Zolli e della sua famiglia, che difficilmente si sarebbe verificata se Nitti non avesse avuto ragione su Pio XII.

Ecco la conclusione del discorso di Francesco Nitti: «Nell’ora più trista della vita dell’Europa in cui il nostro continente è stato più minacciato dalla barbarie del nazismo, cioè dalla crudeltà metodica e scientifica e per pregiudizi di razza [cioè il darwinismo], per volontà di potenza, la persecuzione più crudele ha infierito, il Papa Pio XII ha sentito allora il dovere, nella misura delle sue possibilità, di difendere la causa dell’umanità. In nome del cristianesimo ch’è umanità, ha inteso che tutti i perseguitati appartenevano alla stessa famiglia, anche quelli che per la loro origine, per le loro idee, per la loro azione erano considerati come nemici della Chiesa. Il giorno in cui ebrei, massoni, socialisti, comunisti, radicali sono stati sotto la minaccia di morte, il Papa ha fatto aprire loro come rifugio, in Italia come in Belgio e come in Francia e altrove, le chiese, i monasteri, i conventi, monaci e preti si sono prestati, per volontà del Pontefice, a salvare quanti erano in pericolo e, nel nome di Cristo sono stati salvati non pochi ch’erano ritenuti nemici di Cristo» (Dichiarazione al teatro San Carlo di Napoli, 3 ottobre 1945).

Archivi romani: i sacerdoti di Roma salvarono gli ebrei in fuga.
La storiografia tradizionale ha atteso un po’ prima di concentrarsi su luoghi più lontani dai palazzi del potere, ma il quadro sta mutando. Si stanno scandagliando gli archivi del Ministero dell’Interno (Direzione generale dei cultii), di documenti provenienti da fondi parrocchiali, del Pci o del Museo storico della liberazione di Roma. E con le testimonianze degli ultimi sopravvissuti, anche le carte degli archivi fanno emergere il ruolo non secondario di decine di parrocchie romane, anche periferiche, come centri di accoglienza o di soccorso sotto la responsabilità di coraggiosi sacerdoti. Un soccorso destinato non solo a renitenti alla leva, disertori, partigiani, antifascisti, ma anche agli ebrei romani, costretti dopo la caccia antisemita nel Ghetto a riparare qui. Avvenire riporta numerose di queste storie. Come abbiamo già pubblicato (cfr. Ultimissime 3/6/10), fu proprio Pio XII a chiedere che tutti gli ordini religiosi e le parrocchie facessero il possibile per ospitare e difendere gli ebrei.

A DIO…

Dio, Creatore umile di ogni cosa, noi ti ringraziamo con le nostre voci, con le nostre mani, con i nostri corpi, e vorremmo esserti sempre grati per quello che ci dai, per quello che siamo.

Tu, Dio coraggioso, ascolti la voce di chi tace, di chi teme, dei fragili, di chi è perdente da sempre.

Tu, Dio forte, non ricusi chi ti bestemmia con la vita, con le parole piene di cultura disumana, con le analisi sociologiche piene di parole nuove e vuote…

Tu, Dio generoso, accogli i cuori di chi ti tradisce.

Tu, Dio immenso e generoso, tienici sulla soglia della vita e dacci di camminare in essa con il passo dello straniero, del lontano, che visita un capolavoro famoso…

Dio, amico degli uomini, benedici i nostri giorni, e benedici noi, che in questi ci aggiriamo, spesso nemici del bene che ci metti accanto e dentro…; facci comprendere il valore del tempo!

Dio, straniero sempre cercato, benedici le nostre forze, perché viviamo gli anni del tempo degli uomini innamorati del futuro tempo tuo…

Dio, ancora di chi non ha più pensieri, benedici i nostri sensi, perché possiamo gustare la materia della vita ed esserne propagatori…

Dio, sovversione di ogni nostra attesa, benedici i nostri cuori, perché possiamo cogliere i fili di felicità e saperli annodare, ammagliare… in ogni piccola cosa che ci circonda!

Dio, fuoco del fuoco, fa che possiamo trarre da ogni situazione che viviamo il filo della tua Provvidenza…

Dio, pace dei Martiri, nella paura non lasciarci soli! Donaci la decisione di vivere con audacia, fino in fondo, la vita!

Dio, quando non sapremo cosa fare, facci scolari degli errori.

Dio, quando sono fragile ed impotente, dammi di essere vero, sì da saper tendere la mano, e chiedere aiuto

Dio, non darmi troppi amici, dammi di essere amico di tanti…

Dio concedimi quanto ti chiedo, ma anche no…; ma almeno dà fuoco alla mia vita, e questo mi basterà!

venerdì 8 ottobre 2010

Mons. Fisichella e il moralismo di certi...

Ma scusi, monsignore, lei giustifica
la bestemmia del Cavaliere?

La bestemmia è il peccato che si riferisce al secondo comandamento: Non pronunciare il nome di Dio invano. Il catechismo la definisce un "proferire contro Dio - interiormente o esteriormente parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di Lui e nell'abusare del Suo nome». La proibizione si estende alle espressioni contro la Chiesa, i Santi e le cose sacre. Siamo tenuti tutti, credenti e no, a rispettare sempre il santo nome di Dio e le persone che credono in Lui.
Diverse dalla bestemmia sono le imprecazioni in cui, senza intenzione di bestem-miare, è però inserito il nome di Dio. Perché la bestemmia sia peccato, è necessario vi sia anche il deliberato consenso di voler offendere Dio e la piena avvertenza di quanto si sta facendo. Così, mentre il contenuto è sempre grave, non sempre la persona che bestemmia pecca. Ciò non significa indulgere, ma comprendere appunto il contesto in cui si bestemmia. Eludere questa condizione equivale a essere giudici spietati, privi di ogni vera comprensione e misericordia, sempre necessari davanti al peccatore.
Detto questo, Berlusconi si assuma le sue responsabilità per le sue barzellette, e renda conto non solo ai suoi elettori, ma a tutti. Ripeto quanto già detto in una dichiarazione: le persone pubbliche debbono avere un'attenzione del tutto particolare nel loro esprimersi, anche in privato: ne va della credibilità delle istituzioni che rappresentano.
Ma in un momento così critico per tutti ci si aspetta anche un po' di serietà di fronte ai veri problemi, non la rincorsa strumentale allo scandalismo di un giorno.
Un anno fa ero alla manifestazione La Milanesiana. C'era pure il regista Marco Bellocchio, che aveva scelto di proiettare brani di un suo film (L'ora di religione), che si conclude con un bestemmione. Feci presente il mio disagio. Il «maestro» rispose che era un capolavoro, apprezzato anche dai gesuiti! «Bene!», dissi. "Proiettate pure il capolavoro, ma senza di me». E me ne andai.
Rosy Bindi, senza conoscere il mio giudizio sulla barzelletta di Berlusconi e come agisco in queste situazioni, mi ha criticato in modo maldestro, giudicandomi un relativista che deroga al secondo comandamento per difendere i potenti! Non le rispondo per serietà.
Certo, avendo buona memoria, mi sorgono tre domande: è peggio dire un'insulsa barzelletta condita da un'imprecazione, o presentare una legge contro la famiglia e pro nozze gay? Salvare la vita di Eluana o preferire l'eutanasia? Migliorare la legge sull'aborto o favorire la RU 486?
Da vescovo sono turbato se vedo le pecorelle smarrirsi nei meandri dell'interesse politico, ignorando l'abc della morale cattolica.
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(Mons Rino Fisichella
Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione)

lunedì 4 ottobre 2010

40 ragazze, martiri sconosciute a Bologna

Questa è la storia di quaranta ragazze, fra i 25 e i 35 anni, che hanno consapevolmente accettato di morire – per di più con atroci sofferenze – per poter curare e (letteralmente) servire degli ammalati gravi che neanche conoscevano. Finora questo loro eroismo e il loro martirio, consapevolmente accettato, sono rimasti nell’ombra.

Siamo cresciuti in un’Italia capace di trasformare in divi personaggi senza arte né parte, un’Italia capace di esaltare come eroi dei tipi tremendi (che hanno pure dei morti sulla coscienza).

Ma nessuno, nell’Italia che conta, che parla e scrive, sembra si sia mai accorto di queste giovani donne straordinarie.

Eppure è accaduto tutto alla luce del sole, addirittura in una istituzione pubblica di in una città importante e attenta ai valori civili (e alla “questione femminile”) come Bologna, dove queste ragazze sono vissute e morte fra 1930 e 1960.

A Bologna esiste “Viale Lenin”, la strada dedicata a un tiranno che ha fondato il regime dei Gulag dove sono stati massacrati moltitudini di innocenti inermi, fra cui migliaia di religiosi.

Ma non esiste alcun ricordo pubblico invece di quelle donne che hanno curato tanti sofferenti dando la loro stessa vita.

Erano religiose, cioè ragazze che avevano rinunciato a se stesse perché innamorate di Gesù Cristo e per suo amore erano diventate silenziosamente capaci di donare ogni loro giornata ai malati e anche di affrontare la morte.

Tutto accadde all’Ospedale Pizzardi di Bologna, oggi Bellaria, aperto nel 1930 per l’assistenza e la cura delle malattie polmonari, in particolari per tubercolotici.

La Tbc era una malattia mortale assai diffusa, soprattutto dopo la Grande guerra, ed era contagiosissima (si contraeva per via aerea, quindi era molto più contagiosa, per esempio, dell’Aids di oggi).

Fino agli anni Cinquanta, quando arrivarono dei farmaci capaci di debellare la malattia e abbatterne enormemente la mortalità.

Ebbene, aprendo l’Ospedale nel 1930 fu richiesta dall’amministrazione degli ospedali di Bologna la presenza delle “Piccole suore della Sacra Famiglia” per assistere come personale infermieristico i circa seicento malati.

Arrivarono subito 55 suore e poi, nel corso degli anni, il loro numero giunse fino a 95, con la qualifica di infermiere diplomate e infermiere generiche (in totale, dal 1930, hanno servito al Pizzardi 574 religiose).

Garantivano assistenza giorno e notte, a continuo contatto con i malati. A quel tempo le suore-infermiere provvedevano a tutto, pure a lavare i pavimenti dei lunghi corridoi, durante il turno della notte.

Erano tutte consapevoli di recarsi in un ambiente ad altissimo rischio. E infatti delle centinaia che hanno accettato e hanno servito lì, circa 40 hanno contratto la Tbc morendone (32 di loro sono decedute in età compresa fra 25 e 35 anni).

Si trattava di una morte dolorosa e drammatica. Erano giovani suore e oblate.

Nella convenzione che fu stipulata l’amministrazione degli ospedali, considerata la pericolosità della missione, si impegnava, fra l’altro, a “concedere visite mediche” e, in caso di contagio, a “fornire loro i medicinali e in caso di morte un modesto funerale”.

Oltretutto il loro lavoro fu reso molto duro dal fatto che i degenti erano in gran parte giovani e il clima spesso turbolento. Le proteste per il cibo erano all’ordine del giorno, perfino per il fatto che il personale addetto all’igiene dei letti e della biancheria si proteggeva con una mascherina (a quel tempo non esistevano lavatrici ed elettrodomestici).

Negli anni Quaranta e Cinquanta il clima era surriscaldato anche per motivi politici (si formò pure una “Commissione degenti”). Le suore dovevano moltiplicare i loro sforzi per mantenere un clima sereno, mentre soccorrevano i malati in tutte le loro sofferenze.

Il dottor Gaetano Rossini che lì lavorò e le vide all’opera ha lasciato scritto in una memoria conservata negli archivi:

“non meno grave era la emottisi, specie se soffocante, scioccante non solo per il malato, ma anche per chi doveva assistere e provvedere con gli scarsissimi mezzi disponibili. Terribile a vedersi e molto di più ‘intervenire’.

In quei momenti mi veniva di pensare: ‘oh sante suore, quale amore vi tiene inchiodate a quel letto di sofferenza inesprimibile pur di aiutare, salvare quel ‘prossimo’ che forse in altri momenti era stato poco riguardoso o indisciplinato!.

Le Suore non tenevano davvero conto del rischio personale o interesse umano alcuno; quante di loro riposano nel cimitero di Castelletto perché avevano contratto la malattia nell’adempimento del loro servizio”.

Quale amore, si chiede il dottor Rossini? Suor Arcangela Casarotti risponde: “Le suore inviate al ‘Pizzardi’ di Bologna avevano ben scolpito nella mente l’insegnamento dei Fondatori: ‘Se nei casi di epidemia… fosse necessario mettere in pericolo anche la vita, io mi immagino che anche al presente, com’è successo in altri tempi, le Suore del nostro istituto andrebbero a gara per offrirsi vittime della carità. Memori delle parole del Divino Maestro: Non v’è maggior carità che di dare la vita per i propri fratelli’ ”.

Le suore aiutavano centinaia di malati, perlopiù giovani, non solo nelle loro sofferenze fisiche, ma anche in quelle morali. Li aiutavano a non lasciarsi andare alla disperazione di una malattia gravissima e di una degenza molto lunga (talora vi furono suicidi).

Suor Arcangela sulla rivista dell’ordine ha pubblicato qualche memoria dei malati di allora. Liliana per esempio scrive:

“Ho passato tre anni molto belli al Pizzardi pur essendo lontano dalla famiglia perché ero ammalata. Le suore con noi malati avevano un rapporto molto familiare. Esse cercavano in ogni modo di aiutarci a mangiare e di alleviare le sofferenze. Quante volte le ho viste piangere di nascosto per le condizioni gravi dei malati! Io credo che la medicina fece molto per curarmi, ma molto contribuirono anche le parole di conforto e di incoraggiamento delle suore nei momenti più tristi”.

Fra i malati vi furono suore che testimoniarono l’ardore di quel loro Amore fino all’incredibile. Come suor Maria Rosa Pellesi, Francescana Missionaria di Cristo, che trascorse 27 anni in sanatorio di cui 24 proprio al Pizzardi, morta in fama di santità e oggi dichiarata “Serva di Dio”.

Dice il dottor Rossini: “fu, a mio modo di vedere, un miracolo vivente perché non aveva un organo sano, la tubercolosi aveva devastato il suo corpo. Svolse la sua missione in offerta a Dio per il bene di tutti gli uomini”.

La eroiche suore del Pizzardi appartengono all’ordine fondato da don Giuseppe Nascimbeni e da suor Maria Domenica Mantovani (entrambi beati), sono le Piccole Suore della Sacra Famiglia. che negli ospedali bolognesi hanno svolto un lavoro eccezionale e tuttora gestiscono la “Casa di Cura Madre Toniolo”.

Nessuno ha raccontato al mondo la storia delle suore martiri del Pizzardi e ne ha celebrato la grandezza. Di loro ho trovato qualche notizie solo in pubblicazioni dell’ordine e qualche rapido cenno in volumi celebrativi, a ristretta diffusione.

Forse perché, essendo suore, appartenevano – secondo i nostri criteri mondani – a una categoria umana di serie B? O a una categoria che è tenuta a sacrificare la propria vita per noi?

A volte, a considerare come il mondo tratta i cristiani, viene in mente la frase di san Paolo: “Siamo la spazzatura del mondo”.

Probabilmente anche in altre città e altri ospedali vi sono state simili storie di eroica carità cristiana che aspettano di essere conosciute.

Perché la presenza della suore e più ampiamente la presenza della Chiesa accanto ai sofferenti, per portare loro la carezza del Nazareno e per alleviare i loro dolori, è una storia immensa e tuttora misconosciuta.

Eppure parla, anzi grida più di tante parole. Annuncia al mondo quello che ogni essere umano cerca e aspetta: un amore incondizionato, gratuito e totale. Come dice una nota preghiera: “Tutta la terra desidera il Tuo volto”.



Antonio Socci


venerdì 1 ottobre 2010

La mistica della Patria che scorda il sangue degli altri!

Nell'800 migliaia di giovani lombardi e veneti hanno strenuamente combattuto contro l'Italia e contro il tricolore. E' un “dettaglio” rimosso dalla didattica risorgimentale che, come ogni storiografia politicamente corretta, assolve alla mansione servile di esaltare i vincitori e demonizzare, o sprofondare nell'oblìo, i vinti. L'anniversario dei 150 anni dell'unità, col suo bagaglio di prosopopea vanagloriosa, non fa eccezione: il patriottismo celebrato è a senso unico ed è monopolio dello Stato italiano, come i sali e tabacchi. Nessuno può ammettere che, in quei giorni cruciali del XIX secolo, molti abbiano sofferto, trepidato, versato il sangue per una patria che era il Regno Lombardo-Veneto, o il Regno delle Due Sicilie o Lo Stato della Chiesa. Ci obbligano a credere e professare che da una parte, quella giusta e tricolore, militavano i limpidi eroi mossi da pura idealità; dall'altra, quella sbagliata e senza una bandiera, i prezzolati mercenari o, quantomeno, dei poveri diavoli costretti ad indossare un'uniforme invisa e straniera.

VIVA L'AUSTRIA! Peccato che, nella guerra d'indipendenza, dalla “parte giusta” morirono più soldati francesi che “italiani”, tanto che Napoleone III ottenne dal Piemonte, in cambio del sangue transalpino versato, le pur italianissime (in un certo senso) Savoia e Costa Azzurra, sino a Nizza e più in là. Peccato, poi, che nelle campagne lombarde al passaggio dei bersaglieri piemontesi e degli zuavi francesi si levasse alto dai contadini il grido “Viva l'Austria!”: lo stesso che gli indomiti paesani lanciarono ancora, una decina d'anni dopo, nelle sanguinose (e accuratamente dimenticate) rivolte agresti del 1869 contro l'iniqua tassa italiana sul macinato che ridusse alla fame le nostre campagne.

SOLDATI DELL'IMPERO. Peccato, ancora, che sul campo dell'onore i lombardo-veneti abbiano dimostrato col sangue la fedeltà al proprio regno e all'Impero d'Austria. Due grandi battaglie parlano chiaro: Solferino per i lombardi, Lissa per i veneti. Una premessa: sul teatro bellico padano, all’inizio del 1848, dei sessantuno battaglioni della fanteria imperiale agli ordini di Radetzky nove erano ungheresi, sei cechi, dieci slavi, dodici austriaci e ben ventiquattro lombardo-veneti. Si calcola che il 33 per cento dell’intero esercito austriaco fosse composto da lombardo-veneti, circa sessantamila tra soldati e ufficiali. Solo dopo la disfatta del Regno, con la caduta di Milano e soprattutto Venezia, si accusarono comprensibili diserzioni “italiane”, ma molti reggimenti restarono fedeli sino all'ultimo uomo.

SOLFERINO. Veniamo a Solferino. Qui avvenne la più lunga e spaventosa battaglia della guerra d'indipendenza italiana, una delle più cruente mai viste in Europa: in 14 ore di combattimento persero la vita 14mila militari dell'impero austriaco e 15mila franco-piemontesi (gli “italiani”). A questa carneficina assistette il ginevrino Henry Dunant rimanendo talmente impressionato dai tormenti degli oltre 40mila feriti abbandonati a se stessi che votò il resto della sua vita ad una grande impresa umanitaria: la fondazione della Croce Rossa. Ebbene, in un simile inferno eccelsero per valore e zelo i soldati del Lombardo-Veneto, tanto che il 16° reggimento ne riportò gran lustro e ben 112 lombardo veneti vennero decorati con la medaglia al valore per episodi di eroismo compiuti in quella furiosa battaglia. Qualcuno, oggi, ricorda i caduti della “parte sbagliata” a Solferino?

LISSA. A maggior ragione il silenzio politicamente corretto s'impone per i veneti che, nella battaglia di Lissa, addirittura sconfissero duramente gli italiani. Quando, il 20 luglio del 1866, la flotta imperiale fece a pezzi le forze navali tricolori, da quegli equipaggi vittoriosi si levò il grido: “Viva San Marco!”. Erano gli uomini della “Oesterreich-Venezianische Marine” (l'Imperiale e Regia Veneta Marina), equipaggi ed ufficiali “veneziani”, formati da veneti in senso stretto, nonchè giuliani, istriani e dalmati. Dopo aver strappato la parte lombarda del regno, gli italiani puntavano a Venezia: in mare, all'altezza dell'isola di Lissa, lo scontro tra le due flotte.

LA CIAPEMO! La grande superiorità tricolore nulla potè contro l'abilità e il coraggio dei veneti. L'imperiale e Regia Veneta Marina affondò la corvetta corazzata Palestro e chiuse la partita sprofondando anche l'ammiraglia nemica, la corazzata Re d'Italia. Tra gli italiani si contarono 620 morti e 40 feriti, tra gli austro-veneti 38 morti e 138 feriti. Il comandante vittorioso, l'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, proveniva dal Collegio Marino di Venezia doveva aveva anche imparato il veneto per farsi capire da ufficiali ed equipaggio. Così entrò nella tradizione marinara il suo incitamento “in lingua” al timoniere Vianello, poco prima di speronare la “Re d'Italia”: “Daghe dosso, Nino, che la ciapemo!”. Qualcuno intende rendere omaggio agli artefici di quella strepitosa vittoria veneta?

BRIGATA ESTENSE. E chi mai ricorda il sublime esempio di fedeltà offerto dalle migliaia di modenesi che, dopo la “liberazione” del loro ducato da parte degli italiani, raggiunsero all'esilio il duca Francesco V per arruolarsi nella Brigata Estense, di stanza a Bassano del Grappa? Quando venne sciolto il reparto, molti di questi soldati entrarono volontari nell'esercito austriaco a continuare la guerra contro gl'italiani invasori. Una struggente dedizione al patriottismo “sbagliato”.

IL BUON DIRITTO. Tutto rimosso, tutto cancellato. A 150 anni dalla proclamazione del Regno d'Italia fanno ancora paura i legittimi Stati pre-unitari e restano fantasmi da non evocare quei padani immolati per le loro patrie. Una censura che si spiega con facilità: di fronte alla consapevolezza della nostra storia, infatti, perde valore la dogmatica pretesa di indiscutibilità dell'unità nazionale in quanto “santificata” dal sangue italiano sparso contro lo straniero. Oggi (pur cancellate le nazioni, negato il ricordo, confusi i popoli, stravolti i valori di epoche più sane) il sacrificio degli avi lombardo-veneti conferisce all'anelito di libertà dei posteri la legittimità del buon diritto.


di Giulio Ferrari