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sabato 3 marzo 2012

Sul Sud molto da dire e moltissimo da tacere!

IL "TALLONE DI FERRO" DEI SAVOIA    (di NICOLA GANNA)


Quando si commettono abusi, prevaricazioni, violenze, diviene perfettamente inutile dolersi se le vittime perdono il senso della misura ed accusano poi i loro persecutori di ogni possibile nefandezza, anche di quelle eventualmente nate solo dalla fantasia.
Il più elementare buon senso ci dice che sarebbe stato infinitamente meglio non commettere gli abusi iniziali, per non dare inizio a quelle spirali di odio che sembrano essere, purtroppo, una delle costanti della storia umana.

Queste riflessioni sorgono spontanee leggendo il libro "I Savoia e il massacro del Sud", di Antonio Ciano, pubblicato dall'editore Grandmelò di Roma. Il libro, uscito nel luglio dello scorso anno, e in ottobre in seconda edizione, fa parte di una "Collana di storia e di verità meridionali", diretta da Lucio Barone.

Diciamolo subito: è un gran brutto libro, ed è un libro utilissimo. Più che un libro è un comizio urlacchiato, in modo disorganico. Eppure confermiamo che è un libro utilissimo, da conoscere. Perchè? Cerchiamo di ragionarne assieme.

I LUOGHI COMUNI DELLA STORIOGRAFIA

La storiografia si è scrollata di dosso (per fortuna!) un certo tipo di retorica che ha inquinato per decenni la narrazione del periodo risorgimentale. Chi scrive ha fatto in tempo a frequentare una scuola elementare in cui la guerra del 1859, e gli eventi successivi, venivano ancora presentati in una chiave agiografica dove c'erano alcuni personaggi, il Re Soldato (Vittorio Emanuele II), l'Eroe Purissimo (Garibaldi), il Pensatore Tormentato (Mazzini), l'Abile e Integerrimo Statista (Cavour) e comprimari che "rispondendo al grido di dolore che da ogni parte d'Italia ecc. ecc."si decidevano all'azione per liberare gli italiani dal giogo straniero e fare l'Italia Una, Libera e Bella. Poi, una volta fatta, erano tutti contenti, salvo dover sistemare alcune faccende ancora in sospeso, tipo un po' di brigantaggio nel Sud.

Del resto, non aveva detto D’Azeglio (tutti i grandi dicono frasi celebri) "abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani"? Dicevamo che la storiografia ha fortunatamente intrapreso un esame più critico di quel periodo, inquadrandolo anche in quel travaglio generale che vedrà la sua conclusione nel 1918, con lo sgretolamento degli Imperi Centrali e le premesse di una nuova instabilità europea, tuttora lungi dal concludersi. Possiamo tranquillamente dire che più nessuno accetta la raffigurazione di un'unificazione d'Italia "a furor di popolo", nè è questo il luogo per un approfondito esame critico della politica di unificazione seguita dalla Destra Storica. Limitiamo necessariamente il nostro discorso alla politica seguita nel meridione. E prendiamo in mano il libro di Antonio Ciano.

La prefazione di Lucio Barone ci avverte: "Sicuramente Ciano piange lacrime di vera rabbia e impotenza e solo così si comprendono e si giustificano quelle rabbiose imprecazioni anche volgari, all'indirizzo dei barbari che stuprarono e massacrarono senza pietà i napoletani (intesi in genere come i sudditi del Regno delle Due Sicilie - ndr)... più amara della sconfitta è stata la falsa storia raccontata dai prezzolati sabaudi. Più forte è dunque lo sdegno e l'invettiva quando ognuno verifica quello che si sussurrava senza riscontri probanti..."

INVETTIVA CONTRO TUTTI - Contro chi è diretta l'invettiva? Non solo contro le truppe inviate a reprimere il fenomeno del brigantaggio e contro i loro più importanti comandanti, i generali La Marmora, De Sonnaz, Cialdini e Bixio, il colonnello Negri e altri minori. Ma contro molti, molti altri.

E il titolo "I Savoia e il massacro del Sud" potrebbe variare ed allargarsi in "Il Resto del mondo e il massacro del Sud". Non vorremmo essere fraintesi. Abbiamo il massimo rispetto per le vittime innocenti (e ce ne furono!) di una politica repressiva che fu nei migliori dei casi miope ma il più delle volte cinica e brutale. Ma restiamo nella convenzione che solo una ricerca seria e molto meditata possa, nel corso del tempo, rendere giustizia a chi ha subito soprusi. Né l’apologia assoluta e totale delle vittime, né la condanna assoluta dei carnefici, aiutano a capire. E chi si interessa di storia sa quante volte trovarsi dall’una o dall’altra parte possa anche essere generato dal caso.

Perché dunque parlavamo del "Resto del Mondo"? Perchè l'Autore, dopo averci fornito alcune notizie storiche di grande interesse sul Regno delle Due Sicilie, sul suo sviluppo demografico, economico, industriale e culturale, inizia a "perdere i cavalli", facendo un minestrone in cui entrano un po' tutti, accomunati in un'oscura macchinazione che durerebbe dal 1860 e che aveva come fine la distruzione di quello che era il più prospero Regno d'Europa e l'accaparramento delle sue ricchezze.

"In Italia abbiamo sempre avuto, dal 1860, un capitalismo assistito e coccolato dalla Stato, un'imprenditoria dipendente dalle commesse statali e concessionari vari... In 135 anni lo Stato Unitario ha massacrato l'economia e l'industria del Sud per creare nel Nord una borghesia cieca e becera, capace solo di essere servile verso i suoi veri padroni, che fanno capo alle varie sette massoniche tendenti, come fine ultimo, a distruggere l'humus culturale cristiano ed annullare la coscienza storica e culturale delle popolazioni del Sud con le televisioni e con la stampa, tutta nelle loro luride mani... oggi l'Italia è governata da una Oligarchia che prende spunto e riferimento dai suoi benefattori risorgimentali; questa Oligarchia sa di essere arrivata al capolinea e sta tentando l'ultima operazione trasformistica. Il riciclaggio dei rifiuti politici si compirà nello spazio di un paio di anni. Tutta la feccia liberal massonica, che imperava nella Democrazia Cristiana e nel Partito Socialista estorcendo e ricattando, non si è dissolta ma si sta ben inserendo nella destra post fascista unitaria filo savoiarda di Fini...".

SOTTO ACCUSA ANCHE FINI - Al successivo capitolo, pag. 29, l'Autore riprende l'argomento:

"La destra di Fini, la destra di Berlusconi, la destra di Casini, la destra fascista di Cito, quella filosavoiarda di Lauro, quella di Gava, la destra filotedesca di Miglio ha dominato dal 1860 la vita politica italiana... ". E più avanti, dopo aver stabilito, tra l'altro, che Cavour morì di sifilide, l'Autore ci informa sulle dimensioni planetarie della congiura:

"Il Piemonte, servo dei voleri della massoneria, indirizza da sempre la politica italiana. Nel 1861 il Piemonte faceva capo alla gran Massoneria di mister Albert Pike e oggi alla Trilateral Commission... La Santa Russia, l'Impero Asburgico e il Regno delle Due Sicilie dovevano lasciare posto al nuovo ordine massonico... In Italia il compito venne assegnato a Casa Savoia, votata alla Gran Consorteria. Gli altri sovrani infatti erano tutti devotissimi alla Chiesa di Roma... Al suo servizio (del Re Sabaudo - ndr) la massoneria londinese mise uomini, denaro e mezzi...".

Qui vorremmo fare una sosta di riflessione. Dicevamo in apertura che nessun uomo di buon senso ed onesto disconosce oggi gli errori e anche gli orrori della politica dei primi governi unitari verso il Sud. E' cosa nota che l'abolizione dei dazi doganali, estesa a tutto il nuovo Stato Unitario, causò un disastro nell'economia del Sud. E' altrettanto noto che la leva militare obbligatoria fu vissuta da molti giovani meridionali come un abuso, e probabilmente lo fu, e fu pure una delle prime cause del brigantaggio, anche se sarà interessante tornare più avanti sul sistema di leva nello stato borbonico. Tuttavia non nascondiamo un certo brivido che ci prende risentendo discorsi che credevamo ormai sepolti dalla polvere della storia.

Le congiure planetarie "demo-pluto-giudaico-massoniche" furono tra le ragioni invocate da un signore di Predappio per mandare al macello, un certo 10 giugno 1940, una nazione che di tutto poteva aver voglia, salvo che di fare la guerra. Non abbiamo particolare simpatia, nè antipatia, per la massoneria; la storia recentissima ci ha fornito al più di questa associazione una poco onorevole immagine di confraternita di signori occupati a farsi al meglio possibile i propri interessi. Ma fare una stessa zuppa di realtà così diverse come la Russia Zarista, l'Impero Asburgico e il Regno dei Borboni, ci pare quanto meno avventato. E ci pare antistorico voler imputare ad una congiura massonica, come fa l'Autore (vedi a pag. 51) i sommovimenti del 1848, quasi che non fossero esistite realtà quali la Rivoluzione Francese (che con tutti i suoi terribili abusi resta una pagina fondamentale nella storia del faticosissimo cammino verso l'eguaglianza degli uomini) o la nascita degli Stati Uniti d'America.

MEGLIO RAGIONARE CON OBIETTIVITA' - Ci pare antistorico non voler riconoscere che il XIX secolo ebbe comunque, in tutto il suo disordine, un denominatore comune, che fu quello dell'inizio di un cammino verso maggiori diritti civili, verso condizioni più umane per le classi più umili, verso, insomma, una maggior dignità dell'uomo. Che in questo cammino si siano inseriti interessi di altro tipo (e senza dubbio i Savoia seppero approfittare del momento storico per la loro espansione), è indubbio. Ma pensare di poter cristallizzare la Storia, non è realistico. Il passaggio dai regimi assolutisti a quelli parlamentari (seppur sulla base di un suffragio censitario), l'emanazione degli Statuti, sono eventi storici che non si possono disconoscere. E lo stesso Piemonte visse questi cambiamenti, e li visse prima della realizzazione dell'Unità d'Italia.

L'Autore ci parla anche dei finanziamenti che la massoneria inglese fece al Piemonte per la realizzazione del suo progetto egemonico. I documenti storici ci dicono piuttosto che il Regno Sabaudo (come molti altri stati a metà del XIX secolo) era pesantemente indebitato coi banchieri Rothschild, la cui casa madre era, non scordiamocelo, a Francoforte.
(vedi qui I SAVOIA IN BOLLETTA )
e la vocazione a fare i banchieri in Svizzera.

E Cavour, che per qualche tempo resse anche il dicastero delle Finanze, si trovò proprio a dover intraprendere una riforma fiscale (anno 1851) per svincolare il Regno dalla dipendenza dai Rothschild. Infine vorremmo notare che è un po' strano poter individuare un filo comune che leghi da 135 anni gli avvenimenti politici italiani agli interessi della massoneria inglese... a meno che l'Autore non voglia dirci che anche Mussolini condusse una politica filoinglese!

Proseguiamo nella nostra lettura. E' faticosa, perchè Antonio Ciano non è davvero un sistematico. Dopo averci fornito dei profili di Mazzini, Garibaldi e Cavour, ed un'interpretazione della questione Romana, l'Autore ci parla di un esperimento di grande interesse messo in atto nel Regno delle Due Sicilie: San Leucio. Un esperimento che merita senza dubbio un attento esame. La colonia di San Leucio venne fondata nel 1778 da Ferdinando IV di Borbone. Si trattava in sostanza di una colonia agricola situata su un'ampia estensione di terreno (ottantadue ettari), ricavata da una zona già riserva di caccia del Re. In questa Colonia si installarono oltre centotrenta persone, per le quali furono costruite le abitazioni e la Chiesa. Il terreno, molto fertile, era coltivato a frutta e vigne.

UN ESPERIMENTO UN PO' EQUIVOCO - "A San Leucio Ferdinando IV di Borbone stilò di suo pugno lo Statuto di una società di uguali... La vita dei coloni era disciplinata e dura, ma libera da vincoli padronali; una comunità monastica allo stato laico. L'abbigliamento era semplice, pratico per il lavoro ed uguale per tutti. La sveglia suonava prestissimo e, dopo aver fatto colazione, la gente si recava in Chiesa, dove veniva recitata una preghiera composta dallo stesso Re, che si sentiva intermediario fra Dio e il suo popolo. Dopo aver sentito la Messa, i coloni si recavano al lavoro con uno spirito di emulazione stupendo, che rappresentava il segreto di San Leucio e che dava incentivi e prosperità a tutta la comunità... L'istruzione era obbligatoria per tutti... I testamenti erano aboliti e il diritto all'eredità avveniva solo per i figli e per il coniuge superstite, altrimenti tutti gli averi andavano in dotazione al monte degli orfani... Siamo di fronte ad una filosofia illuminista applicata scientificamente nel Regno delle Due Sicilie: una filosofia rivoluzionaria messa in pratica da Casa Borbone e fatta passare dal fecciume savoiardo per retriva!"

L 'Autore passa poi a descriverci lo sviluppo dell'industria, delle ferrovie, della marina, e dell'istruzione pubblica nel Regno delle Due Sicilie. A queste letture rimandiamo, perchè ricche di molti dati interessanti. Ma ci sembra utile spendere qualche parola sull'esperimento di San Leucio: non crede l'Autore che, con tutta la positività che seppe avere la casa dei Borbone, proprio nell'esperimento di San Leucio, "società di uguali", si nascondesse uno dei germi della sua disfatta? In un mondo scosso da fremiti di libertà, più o meno confusi e disordinati, come si situava una realtà in cui i lavoratori erano "tutti vestiti all'ugual modo", in cui "tutti insieme andavano in Chiesa", a recitare una preghiera composta da un Re che si sentiva "intermediario tra Dio e il suo popolo"? Verrebbe spontaneo chiedersi: che ci stava allora a fare la Chiesa? E non c'è in tutto ciò un vago sapore di paternalismo e di coercizione?

La seconda parte del libro possiamo individuarla, in assenza di precise suddivisioni fatte dall'autore stesso, da pag. 85 in poi. Da qui si inizia infatti la cronaca degli avvenimenti che sconvolsero in particolare i paesi di Pontelandolfo e Casalduni, nell'agosto e settembre del 1861. I territori delle attuali provincie di Foggia e Potenza furono sottoposti alla legge marziale, con ampi poteri ai comandanti militari, e con una presenza militare che vide un'escalation che portò i soldati addetti alla repressione del brigantaggio, dai 22.000 iniziali fino a 120.000 nel 1863.

Chi era il "brigante"? Per i piemontesi era senza dubbio il ribelle al nuovo ordine, e come tale andava trattato. Per molti cittadini meridionali, delusi dalle promesse non mantenute (in particolare la mancata riforma agraria, conseguenza dell'alleanza fra i nuovi "padroni" del Nord e i vecchi latifondisti del Sud) era l'"eroe sociale". Ad alimentare le file dei briganti andarono moltissimi giovani renitenti alla leva obbligatoria. Ma qui conviene eliminare un equivoco. Nel Regno delle Due Sicilie la leva esisteva: era però "riscattabile" col versamento alle casse statali di una modesta somma, ed era limitata ai territori continentali. La leva obbligatoria per tutti fu indubbiamente un provvedimento miope del governo piemontese, tanto più che venne ordinata con l'esplicito fine di "integrare" le diverse popolazioni del nuovo Stato Unitario.

Ma chiedere ad un contadino dell'Abruzzo o della Puglia, o della Basilicata, di abbandonare terra e affetti per trasferirsi al nord per un paio d'anni era assolutamente irrealistico. Così, anzichè di integrazione, il provvedimento fu causa di divisione e ribellione. I nomi di Crocco, La Gala, Romano, Giordano, Alonzi, divennero leggendari, anche perchè diversi briganti, ex ufficiali dell'esercito borbonico, seppero impegnare duramente le truppe piemontesi. Si calcola che tra il 1861 e il 65 persero la vita in combattimento, o fucilati, 5212 briganti, mentre ne furono arrestati 5044 (Ortoleva-Revelli - Storia dell'Età Contemporanea).

La risposta del Governo di Torino fu preminentemente repressiva. La legge marziale dava il potere ai comandanti militari, fino al livello di comando di compagnia, di fucilare sul posto i capi-briganti, ma il grande frazionamento delle bande permetteva spesso di affibbiare la qualifica di "capo" a molti briganti fatti prigionieri. La tecnica di guerriglia adottata da molte bande portò a risposte di contro-guerriglia che spesso sfociarono in atrocità: rappresaglie contro interi paesi, fucilazioni "facili", devastazioni, non fecero che accrescere un solco.....
che purtroppo ancora oggi appare tutt'altro che colmato.

Lo studio di questa seconda parte del libro l'affidiamo ai nostri lettori: un lungo elenco di episodi tutt'altro che onorevoli, dove spesso l'Autore viene travolto dalla sua stessa foga, anche nei macabri conteggi delle vittime, inevitabili in questo tipo di resoconti, ma che alle volte ci paiono amplificati da una passione che supera ogni logica matematica. Non vorremmo sembrare poi troppo semplicisti facendo una semplice considerazione: il sangue, da sempre, ha chiamato il sangue.

La devastazione dei paesi di Pontelandolfo e Casalduni fu senza dubbio un episodio atroce, che disonora le truppe che lo compirono. Ma lo compirono come rappresaglia all'uccisione di 45 loro commilitoni, uccisi dopo essere stati fatti prigionieri. E ci sembra che l'Autore perda il senso della misura (si veda a pag. 165) laddove individua la legittimità dell'uccisione dei 45 soldati piemontesi nel fatto che questa fu decisa da "tutto" il popolo dei due paesi sanniti. Riferendosi al capitano Iacobelli, comandante di una Compagnia di Guardie Nazionali, che in un rapporto riferiva al generale Cialdini l'avvenuto linciaggio, l'Autore infatti dice: "viva la democrazia liberale che per bocca di Iacobelli ammette che il popolo tutto accorse ad accoppare i soldati piemontesi e per questo motivo doveva essere castigato! Ma la democrazia non è consenso?".

Francamente ci pare che in questa significativa frase sia rappresentato il limite di Ciano: tale è la sua foga di mettere tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra, che trova la legittimazione dell'uccisione di prigionieri nel fatto che questa sia stata decisa da "tutto il popolo" e quindi si qualifica come atto di democrazia, e quindi come atto giusto. (diede il "consenso", quindi "giusto")

Perché quei pacifici cittadini si trasformarono in feroci giustizieri? Probabilmente perchè per loro la divisa sabauda era divenuta sinonimo di abuso, promesse mancate, e via ingannando e deludendo. E perchè i soldati piemontesi, che non erano certo arruolati solo fra i sadici assetati di sangue, compirono atti di rappresaglia indegni di qualsiasi uniforme? Probabilmente perchè a loro volta esasperati dal vedere uccisi i loro commilitoni.
E via, via, a furia di "probabilmente", torniamo alla riflessione che facevamo in apertura di questo nostro articolo. Ossia, se ci è consentita un'autocitazione: "...Il più elementare buon senso ci dice che sarebbe stato infinitamente meglio non commettere gli abusi iniziali, per non dare inizio a quelle spirali di odio che sembrano essere, purtroppo, una delle costanti della storia umana.

Il "libro di Antonio Ciano, che si chiude con una rievocazione dei fatti militari del 1866, ben noti e ben poco onorevoli, e che l'Autore riporta a sostegno della sua tesi, secondo la quale i capi militari piemontesi non erano che incapaci, in grado solo di combattere contro inermi contadini, ma non contro un nemico organizzato, il libro di Ciano, dicevamo, ci sembra una buona occasione, perduta almeno in parte, di ampliare il dibattito che in questi ultimi anni si è acceso su federalismo o, addirittura, su secessione.

E’ un libro da leggere perchè ci riporta fatti locali, per lo più sconosciuti, ma che vanno invece resi noti, per quanto poco onorevoli siano. E' un'occasione perduta perchè li riporta in modo tale, presentandoci il Regno delle Due Sicilie come un piccolo paradiso in terra, sbranato da belve assetate di sangue, da rischiare di dare argomenti ai più rozzi e beceri fautori di una secessione basata sull'assioma, tutto da dimostrare che "i terroni vivono con le nostre tasse, il nostro lavoro" e corbellerie simili.

Ma è comunque un'opera da tenere in considerazione, perchè non può non accendere in noi una domanda: perchè a tanti anni dall'Unità restano ancora passioni così violente? E se un libro francamente brutto e disorganico, violento e urlato, può essere utile, dopo un sano sfrondamento di tutta la sua retorica, per un sano esame di coscienza, ben venga.
Ci piacerebbe chiudere queste considerazioni con le parole di un galantuomo, un uomo di buon senso, riportate dallo stesso Autore, a pag. 103. Si tratta di Massimo d'Azeglio, che in una lettera al senatore Matteucci scriveva tra l'altro: "...A Napoli noi abbiamo cacciato il sovrano per ristabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra ciò non basti, sessanta battaglioni... Ma si dirà: e il suffragio universale? Io nulla so di suffragio; ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore: e bisogna cangiare atti o principi... "

di NICOLA GANNA

Ringrazio per l'articolo
il direttore di
Storia in Network