IL
"TALLONE DI FERRO"
DEI SAVOIA (di NICOLA GANNA)
Quando si commettono abusi, prevaricazioni, violenze, diviene
perfettamente inutile dolersi se le vittime perdono il senso della
misura ed accusano poi i loro persecutori di ogni possibile nefandezza,
anche di quelle eventualmente nate solo dalla fantasia.
Il più elementare buon senso ci dice che sarebbe stato infinitamente
meglio non commettere gli abusi iniziali, per non dare inizio a quelle
spirali di odio che sembrano essere, purtroppo, una delle costanti della
storia umana.
Queste riflessioni sorgono spontanee leggendo il libro "I Savoia e
il massacro del Sud", di Antonio Ciano, pubblicato dall'editore
Grandmelò di Roma. Il libro, uscito nel luglio dello scorso anno, e in
ottobre in seconda edizione, fa parte di una "Collana di storia e di
verità meridionali", diretta da Lucio Barone.
Diciamolo subito: è un gran brutto libro, ed è un libro utilissimo.
Più che un libro è un comizio urlacchiato, in modo disorganico. Eppure
confermiamo che è un libro utilissimo, da conoscere. Perchè? Cerchiamo
di ragionarne assieme.
I LUOGHI COMUNI DELLA STORIOGRAFIA
La storiografia si è scrollata di dosso (per fortuna!) un certo tipo
di retorica che ha inquinato per decenni la narrazione del periodo
risorgimentale. Chi scrive ha fatto in tempo a frequentare una scuola
elementare in cui la guerra del 1859, e gli eventi successivi, venivano
ancora presentati in una chiave agiografica dove c'erano alcuni
personaggi, il Re Soldato (Vittorio Emanuele II), l'Eroe Purissimo
(Garibaldi), il Pensatore Tormentato (Mazzini), l'Abile e Integerrimo
Statista (Cavour) e comprimari che "rispondendo al grido di dolore che
da ogni parte d'Italia ecc. ecc."si decidevano all'azione per liberare
gli italiani dal giogo straniero e fare l'Italia Una, Libera e Bella.
Poi, una volta fatta, erano tutti contenti, salvo dover sistemare alcune
faccende ancora in sospeso, tipo un po' di brigantaggio nel Sud.
Del resto, non aveva detto D’Azeglio (tutti i grandi dicono frasi
celebri) "abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani"?
Dicevamo che la storiografia ha fortunatamente intrapreso un esame più
critico di quel periodo, inquadrandolo anche in quel travaglio generale
che vedrà la sua conclusione nel 1918, con lo sgretolamento degli Imperi
Centrali e le premesse di una nuova instabilità europea, tuttora lungi
dal concludersi. Possiamo tranquillamente dire che più nessuno accetta
la raffigurazione di un'unificazione d'Italia "a furor di popolo", nè è
questo il luogo per un approfondito esame critico della politica di
unificazione seguita dalla Destra Storica. Limitiamo necessariamente il
nostro discorso alla politica seguita nel meridione. E prendiamo in mano
il libro di Antonio Ciano.
La prefazione di Lucio Barone ci avverte: "Sicuramente Ciano piange
lacrime di vera rabbia e impotenza e solo così si comprendono e si
giustificano quelle rabbiose imprecazioni anche volgari, all'indirizzo
dei barbari che stuprarono e massacrarono senza pietà i napoletani
(intesi in genere come i sudditi del Regno delle Due Sicilie - ndr)...
più amara della sconfitta è stata la falsa storia raccontata dai
prezzolati sabaudi. Più forte è dunque lo sdegno e l'invettiva quando
ognuno verifica quello che si sussurrava senza riscontri probanti..."
INVETTIVA CONTRO TUTTI - Contro chi è diretta l'invettiva? Non solo
contro le truppe inviate a reprimere il fenomeno del brigantaggio e
contro i loro più importanti comandanti, i generali La Marmora, De
Sonnaz, Cialdini e Bixio, il colonnello Negri e altri minori. Ma contro
molti, molti altri.
E il titolo "I Savoia e il massacro del Sud" potrebbe variare ed
allargarsi in "Il Resto del mondo e il massacro del Sud". Non vorremmo
essere fraintesi. Abbiamo il massimo rispetto per le vittime innocenti
(e ce ne furono!) di una politica repressiva che fu nei migliori dei
casi miope ma il più delle volte cinica e brutale. Ma restiamo nella
convenzione che solo una ricerca seria e molto meditata possa, nel corso
del tempo, rendere giustizia a chi ha subito soprusi. Né l’apologia
assoluta e totale delle vittime, né la condanna assoluta dei carnefici,
aiutano a capire. E chi si interessa di storia sa quante volte trovarsi
dall’una o dall’altra parte possa anche essere generato dal caso.
Perché dunque parlavamo del "Resto del Mondo"? Perchè l'Autore, dopo
averci fornito alcune notizie storiche di grande interesse sul Regno
delle Due Sicilie, sul suo sviluppo demografico, economico, industriale e
culturale, inizia a "perdere i cavalli", facendo un minestrone in cui
entrano un po' tutti, accomunati in un'oscura macchinazione che
durerebbe dal 1860 e che aveva come fine la distruzione di quello che
era il più prospero Regno d'Europa e l'accaparramento delle sue
ricchezze.
"In Italia abbiamo sempre avuto, dal 1860, un capitalismo assistito e
coccolato dalla Stato, un'imprenditoria dipendente dalle commesse
statali e concessionari vari... In 135 anni lo Stato Unitario ha
massacrato l'economia e l'industria del Sud per creare nel Nord una
borghesia cieca e becera, capace solo di essere servile verso i suoi
veri padroni, che fanno capo alle varie sette massoniche tendenti, come
fine ultimo, a distruggere l'humus culturale cristiano ed annullare la
coscienza storica e culturale delle popolazioni del Sud con le
televisioni e con la stampa, tutta nelle loro luride mani... oggi
l'Italia è governata da una Oligarchia che prende spunto e riferimento
dai suoi benefattori risorgimentali; questa Oligarchia sa di essere
arrivata al capolinea e sta tentando l'ultima operazione trasformistica.
Il riciclaggio dei rifiuti politici si compirà nello spazio di un paio
di anni. Tutta la feccia liberal massonica, che imperava nella
Democrazia Cristiana e nel Partito Socialista estorcendo e ricattando,
non si è dissolta ma si sta ben inserendo nella destra post fascista
unitaria filo savoiarda di Fini...".
SOTTO ACCUSA ANCHE FINI - Al successivo capitolo, pag. 29, l'Autore riprende l'argomento:
"La destra di Fini, la destra di Berlusconi, la destra di Casini, la
destra fascista di Cito, quella filosavoiarda di Lauro, quella di Gava,
la destra filotedesca di Miglio ha dominato dal 1860 la vita politica
italiana... ". E più avanti, dopo aver stabilito, tra l'altro, che
Cavour morì di sifilide, l'Autore ci informa sulle dimensioni planetarie
della congiura:
"Il Piemonte, servo dei voleri della massoneria, indirizza da
sempre la politica italiana. Nel 1861 il Piemonte faceva capo alla gran
Massoneria di mister Albert Pike e oggi alla Trilateral Commission... La
Santa Russia, l'Impero Asburgico e il Regno delle Due Sicilie dovevano
lasciare posto al nuovo ordine massonico... In Italia il compito venne
assegnato a Casa Savoia, votata alla Gran Consorteria. Gli altri sovrani
infatti erano tutti devotissimi alla Chiesa di Roma... Al suo servizio
(del Re Sabaudo - ndr) la massoneria londinese mise uomini, denaro e
mezzi...".
Qui vorremmo fare una sosta di riflessione. Dicevamo in apertura
che nessun uomo di buon senso ed onesto disconosce oggi gli errori e
anche gli orrori della politica dei primi governi unitari verso il Sud.
E' cosa nota che l'abolizione dei dazi doganali, estesa a tutto il nuovo
Stato Unitario, causò un disastro nell'economia del Sud. E' altrettanto
noto che la leva militare obbligatoria fu vissuta da molti giovani
meridionali come un abuso, e probabilmente lo fu, e fu pure una delle
prime cause del brigantaggio, anche se sarà interessante tornare più
avanti sul sistema di leva nello stato borbonico. Tuttavia non
nascondiamo un certo brivido che ci prende risentendo discorsi che
credevamo ormai sepolti dalla polvere della storia.
Le congiure planetarie "demo-pluto-giudaico-massoniche" furono tra
le ragioni invocate da un signore di Predappio per mandare al macello,
un certo 10 giugno 1940, una nazione che di tutto poteva aver voglia,
salvo che di fare la guerra. Non abbiamo particolare simpatia, nè
antipatia, per la massoneria; la storia recentissima ci ha fornito al
più di questa associazione una poco onorevole immagine di confraternita
di signori occupati a farsi al meglio possibile i propri interessi. Ma
fare una stessa zuppa di realtà così diverse come la Russia Zarista,
l'Impero Asburgico e il Regno dei Borboni, ci pare quanto meno
avventato. E ci pare antistorico voler imputare ad una congiura
massonica, come fa l'Autore (vedi a pag. 51) i sommovimenti del 1848,
quasi che non fossero esistite realtà quali la Rivoluzione Francese (che
con tutti i suoi terribili abusi resta una pagina fondamentale nella
storia del faticosissimo cammino verso l'eguaglianza degli uomini) o la
nascita degli Stati Uniti d'America.
MEGLIO RAGIONARE CON OBIETTIVITA' - Ci pare antistorico non voler
riconoscere che il XIX secolo ebbe comunque, in tutto il suo disordine,
un denominatore comune, che fu quello dell'inizio di un cammino verso
maggiori diritti civili, verso condizioni più umane per le classi più
umili, verso, insomma, una maggior dignità dell'uomo. Che in questo
cammino si siano inseriti interessi di altro tipo (e senza dubbio i
Savoia seppero approfittare del momento storico per la loro espansione),
è indubbio. Ma pensare di poter cristallizzare la Storia, non è
realistico. Il passaggio dai regimi assolutisti a quelli parlamentari
(seppur sulla base di un suffragio censitario), l'emanazione degli
Statuti, sono eventi storici che non si possono disconoscere. E lo
stesso Piemonte visse questi cambiamenti, e li visse prima della
realizzazione dell'Unità d'Italia.
L'Autore ci parla anche dei finanziamenti che la massoneria inglese
fece al Piemonte per la realizzazione del suo progetto egemonico. I
documenti storici ci dicono piuttosto che il Regno Sabaudo (come molti
altri stati a metà del XIX secolo) era pesantemente indebitato coi
banchieri Rothschild, la cui casa madre era, non scordiamocelo, a
Francoforte.
(vedi qui I SAVOIA IN BOLLETTA )
e la vocazione a fare i banchieri in Svizzera.
E Cavour, che per qualche tempo resse anche il dicastero delle
Finanze, si trovò proprio a dover intraprendere una riforma fiscale
(anno 1851) per svincolare il Regno dalla dipendenza dai Rothschild.
Infine vorremmo notare che è un po' strano poter individuare un filo
comune che leghi da 135 anni gli avvenimenti politici italiani agli
interessi della massoneria inglese... a meno che l'Autore non voglia
dirci che anche Mussolini condusse una politica filoinglese!
Proseguiamo nella nostra lettura. E' faticosa, perchè Antonio Ciano
non è davvero un sistematico. Dopo averci fornito dei profili di
Mazzini, Garibaldi e Cavour, ed un'interpretazione della questione
Romana, l'Autore ci parla di un esperimento di grande interesse messo in
atto nel Regno delle Due Sicilie: San Leucio. Un esperimento che merita
senza dubbio un attento esame. La colonia di San Leucio venne fondata
nel 1778 da Ferdinando IV di Borbone. Si trattava in sostanza di una
colonia agricola situata su un'ampia estensione di terreno (ottantadue
ettari), ricavata da una zona già riserva di caccia del Re. In questa
Colonia si installarono oltre centotrenta persone, per le quali furono
costruite le abitazioni e la Chiesa. Il terreno, molto fertile, era
coltivato a frutta e vigne.
UN ESPERIMENTO UN PO' EQUIVOCO - "A San Leucio Ferdinando IV di
Borbone stilò di suo pugno lo Statuto di una società di uguali... La
vita dei coloni era disciplinata e dura, ma libera da vincoli padronali;
una comunità monastica allo stato laico. L'abbigliamento era semplice,
pratico per il lavoro ed uguale per tutti. La sveglia suonava
prestissimo e, dopo aver fatto colazione, la gente si recava in Chiesa,
dove veniva recitata una preghiera composta dallo stesso Re, che si
sentiva intermediario fra Dio e il suo popolo. Dopo aver sentito la
Messa, i coloni si recavano al lavoro con uno spirito di emulazione
stupendo, che rappresentava il segreto di San Leucio e che dava
incentivi e prosperità a tutta la comunità... L'istruzione era
obbligatoria per tutti... I testamenti erano aboliti e il diritto
all'eredità avveniva solo per i figli e per il coniuge superstite,
altrimenti tutti gli averi andavano in dotazione al monte degli
orfani... Siamo di fronte ad una filosofia illuminista applicata
scientificamente nel Regno delle Due Sicilie: una filosofia
rivoluzionaria messa in pratica da Casa Borbone e fatta passare dal
fecciume savoiardo per retriva!"
L 'Autore passa poi a descriverci lo sviluppo dell'industria, delle
ferrovie, della marina, e dell'istruzione pubblica nel Regno delle Due
Sicilie. A queste letture rimandiamo, perchè ricche di molti dati
interessanti. Ma ci sembra utile spendere qualche parola
sull'esperimento di San Leucio: non crede l'Autore che, con tutta la
positività che seppe avere la casa dei Borbone, proprio nell'esperimento
di San Leucio, "società di uguali", si nascondesse uno dei germi della
sua disfatta? In un mondo scosso da fremiti di libertà, più o meno
confusi e disordinati, come si situava una realtà in cui i lavoratori
erano "tutti vestiti all'ugual modo", in cui "tutti insieme andavano in
Chiesa", a recitare una preghiera composta da un Re che si sentiva
"intermediario tra Dio e il suo popolo"? Verrebbe spontaneo chiedersi:
che ci stava allora a fare la Chiesa? E non c'è in tutto ciò un vago
sapore di paternalismo e di coercizione?
La seconda parte del libro possiamo individuarla, in assenza di
precise suddivisioni fatte dall'autore stesso, da pag. 85 in poi. Da qui
si inizia infatti la cronaca degli avvenimenti che sconvolsero in
particolare i paesi di Pontelandolfo e Casalduni, nell'agosto e
settembre del 1861. I territori delle attuali provincie di Foggia e
Potenza furono sottoposti alla legge marziale, con ampi poteri ai
comandanti militari, e con una presenza militare che vide un'escalation
che portò i soldati addetti alla repressione del brigantaggio, dai
22.000 iniziali fino a 120.000 nel 1863.
Chi era il "brigante"? Per i piemontesi era senza dubbio il ribelle
al nuovo ordine, e come tale andava trattato. Per molti cittadini
meridionali, delusi dalle promesse non mantenute (in particolare la
mancata riforma agraria, conseguenza dell'alleanza fra i nuovi "padroni"
del Nord e i vecchi latifondisti del Sud) era l'"eroe sociale". Ad
alimentare le file dei briganti andarono moltissimi giovani renitenti
alla leva obbligatoria. Ma qui conviene eliminare un equivoco. Nel Regno
delle Due Sicilie la leva esisteva: era però "riscattabile" col
versamento alle casse statali di una modesta somma, ed era limitata ai
territori continentali. La leva obbligatoria per tutti fu indubbiamente
un provvedimento miope del governo piemontese, tanto più che venne
ordinata con l'esplicito fine di "integrare" le diverse popolazioni del
nuovo Stato Unitario.
Ma chiedere ad un contadino dell'Abruzzo o della Puglia, o della
Basilicata, di abbandonare terra e affetti per trasferirsi al nord per
un paio d'anni era assolutamente irrealistico. Così, anzichè di
integrazione, il provvedimento fu causa di divisione e ribellione. I
nomi di Crocco, La Gala, Romano, Giordano, Alonzi, divennero leggendari,
anche perchè diversi briganti, ex ufficiali dell'esercito borbonico,
seppero impegnare duramente le truppe piemontesi. Si calcola che tra il
1861 e il 65 persero la vita in combattimento, o fucilati, 5212
briganti, mentre ne furono arrestati 5044 (Ortoleva-Revelli - Storia
dell'Età Contemporanea).
La risposta del Governo di Torino fu preminentemente repressiva. La
legge marziale dava il potere ai comandanti militari, fino al livello di
comando di compagnia, di fucilare sul posto i capi-briganti, ma il
grande frazionamento delle bande permetteva spesso di affibbiare la
qualifica di "capo" a molti briganti fatti prigionieri. La tecnica di
guerriglia adottata da molte bande portò a risposte di contro-guerriglia
che spesso sfociarono in atrocità: rappresaglie contro interi paesi,
fucilazioni "facili", devastazioni, non fecero che accrescere un
solco.....
che purtroppo ancora oggi appare tutt'altro che colmato.
Lo studio di questa seconda parte del libro l'affidiamo ai nostri
lettori: un lungo elenco di episodi tutt'altro che onorevoli, dove
spesso l'Autore viene travolto dalla sua stessa foga, anche nei macabri
conteggi delle vittime, inevitabili in questo tipo di resoconti, ma che
alle volte ci paiono amplificati da una passione che supera ogni logica
matematica. Non vorremmo sembrare poi troppo semplicisti facendo una
semplice considerazione: il sangue, da sempre, ha chiamato il sangue.
La devastazione dei paesi di Pontelandolfo e Casalduni fu senza
dubbio un episodio atroce, che disonora le truppe che lo compirono. Ma
lo compirono come rappresaglia all'uccisione di 45 loro commilitoni,
uccisi dopo essere stati fatti prigionieri. E ci sembra che l'Autore
perda il senso della misura (si veda a pag. 165) laddove individua la
legittimità dell'uccisione dei 45 soldati piemontesi nel fatto che
questa fu decisa da "tutto" il popolo dei due paesi sanniti. Riferendosi
al capitano Iacobelli, comandante di una Compagnia di Guardie
Nazionali, che in un rapporto riferiva al generale Cialdini l'avvenuto
linciaggio, l'Autore infatti dice: "viva la democrazia liberale che per
bocca di Iacobelli ammette che il popolo tutto accorse ad accoppare i
soldati piemontesi e per questo motivo doveva essere castigato! Ma la
democrazia non è consenso?".
Francamente ci pare che in questa significativa frase sia
rappresentato il limite di Ciano: tale è la sua foga di mettere tutto il
bene da una parte e tutto il male dall'altra, che trova la
legittimazione dell'uccisione di prigionieri nel fatto che questa sia
stata decisa da "tutto il popolo" e quindi si qualifica come atto di
democrazia, e quindi come atto giusto. (diede il "consenso", quindi
"giusto")
Perché quei pacifici cittadini si trasformarono in feroci
giustizieri? Probabilmente perchè per loro la divisa sabauda era
divenuta sinonimo di abuso, promesse mancate, e via ingannando e
deludendo. E perchè i soldati piemontesi, che non erano certo arruolati
solo fra i sadici assetati di sangue, compirono atti di rappresaglia
indegni di qualsiasi uniforme? Probabilmente perchè a loro volta
esasperati dal vedere uccisi i loro commilitoni.
E via, via, a furia di "probabilmente", torniamo alla riflessione
che facevamo in apertura di questo nostro articolo. Ossia, se ci è
consentita un'autocitazione: "...Il più elementare buon senso ci dice
che sarebbe stato infinitamente meglio non commettere gli abusi
iniziali, per non dare inizio a quelle spirali di odio che sembrano
essere, purtroppo, una delle costanti della storia umana.
Il "libro di Antonio Ciano, che si chiude con una rievocazione dei
fatti militari del 1866, ben noti e ben poco onorevoli, e che l'Autore
riporta a sostegno della sua tesi, secondo la quale i capi militari
piemontesi non erano che incapaci, in grado solo di combattere contro
inermi contadini, ma non contro un nemico organizzato, il libro di
Ciano, dicevamo, ci sembra una buona occasione, perduta almeno in parte,
di ampliare il dibattito che in questi ultimi anni si è acceso su
federalismo o, addirittura, su secessione.
E’ un libro da leggere perchè ci riporta fatti locali, per lo più
sconosciuti, ma che vanno invece resi noti, per quanto poco onorevoli
siano. E' un'occasione perduta perchè li riporta in modo tale,
presentandoci il Regno delle Due Sicilie come un piccolo paradiso in
terra, sbranato da belve assetate di sangue, da rischiare di dare
argomenti ai più rozzi e beceri fautori di una secessione basata
sull'assioma, tutto da dimostrare che "i terroni vivono con le nostre
tasse, il nostro lavoro" e corbellerie simili.
Ma è comunque un'opera da tenere in considerazione, perchè non può
non accendere in noi una domanda: perchè a tanti anni dall'Unità restano
ancora passioni così violente? E se un libro francamente brutto e
disorganico, violento e urlato, può essere utile, dopo un sano
sfrondamento di tutta la sua retorica, per un sano esame di coscienza,
ben venga.
Ci piacerebbe chiudere queste considerazioni con le parole di un
galantuomo, un uomo di buon senso, riportate dallo stesso Autore, a pag.
103. Si tratta di Massimo d'Azeglio, che in una lettera al senatore
Matteucci scriveva tra l'altro: "...A Napoli noi abbiamo cacciato il
sovrano per ristabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma
ci vogliono, e sembra ciò non basti, sessanta battaglioni... Ma si dirà:
e il suffragio universale? Io nulla so di suffragio; ma so che al di
qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono
necessari. Dunque vi fu qualche errore: e bisogna cangiare atti o
principi... "
di NICOLA GANNA
Ringrazio per l'articolo
il direttore di
Storia in Network
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