Una
Chiesa “pura” e una Chiesa “impura”.
La
Chiesa del xvi secolo, sollecitata dalle grandi mutazioni politiche, economiche
e culturali, affronta con incertezza i primi decenni del secolo della
modernità, che muove i suoi primi passi con inedita celerità, quella stessa
rapidità che ebbe la diffusione del libro a stampa e il rapido diffondersi
delle idee e dei testi dei vari e diversi predicatori. Divulgatori di una
Riforma che assume via via toni ora ascetico-politici di stampo quasi
Calvinista (Savonarola); ora toni spiritualistici, facendo ricorso
all’esperienza francescana di stampo duo-trecentesca, ma non priva di spunti di
modernità sociale, capaci di un’analisi innovativa e decisamente moderna
(Bernardino da Siena e la sua opera Sui contratti e l’usura). Non mancarono,
ancora, i toni di coloro che, nella ricerca di una presunta immacolatezza
ontogenetica della Chiesa, alla quale fare ritorno, affidarono il senso e le
ragioni di una ricerca di Rinnovamento al districarsi tra le tante tradizioni,
liturgie, ammennicoli, gesti, reliquie, retaggio della lunga epoca medievale,
che ora finiva il suo corso (Lutero).
Tutti i diversi cammini avevano il medesimo desiderio,
comporre un (nuovo) coro, limpido e cristallino, di cantori delle fede. Tutte
queste persone si riconoscevano come investite del compito di rievangelizzare,
“diffondendo il buon profumo di Cristo” e insegnando “l’alfabeto di Cristo”.
Nel cammino di approfondimento di taluni non mancò
l’indagine (forse esasperata) sulle “origini” del fenomeno cristiano, per la
quale il Rinascimento e l’umanesimo avevano dato una prima (ottima) mano; ma
alcuni finirono per inseguire – oltre alle origini – una mitica “età dell’oro”
della Chiesa. Una Chiesa (pura) prima della Chiesa attuale, vista come impura,
in cattività, prigioniera del papato, usurpatore e anticristo.
Per tutti rinnovamento equivaleva a rifarsi ai “tempi della
giovinezza” della Chiesa, alla Chiesa di Palestina, alla Chiesa degli Atti
degli Apostoli.
Era quasi uno schema dirimente, una intentio ad
excludendum, un metodo di discernimento: chi cerca (e segue) le origini
della Chiesa e chi cerca la (sola) tradizione. Gli uni si rifacevano al
Vangelo, sottraendo agli altri il diritto del Vangelo, descrivendoli discepoli
del Papa e delle tradizioni romane. Gli altri offrivano una visione più
costituita e materiale della Chiesa; non siamo lontani dalla Chiesa di S.
Roberto Bellarmino “la Chiesa di Cristo è una società così visibile e
organizzata come furono al loro tempo l’impero romano, la repubblica di Venezia
o il regno di Francia!”. Il tutto condito con abbondanti dosi di
autoreferenzialità per tutte le parti in causa, e ciò che doveva stare assieme
fu innaturalmente diviso e contrapposto!
Il Vangelo pareva essere esclusivo appannaggio di coloro
che favoleggiavano questo ritorno alle origini, quasi dimenticando oltre mille
anni di storia e di vita, che avevano di fatto creato un tesoro immenso di
insegnamenti e di comprensione del dato rivelato. Un tesoro che non poteva
esser taciuto né tantomeno buttato via. Di contro, altri difendevano
strenuamente il dato della Tradizione, e lo comprendevano quale vera ricchezza!
Tale patrimonio, la Tradizione vivente della Chiesa, non poteva esser inteso
come antitesi al Vangelo, ma – anzi – la Tradizione era “la mano che aveva
scritto, conservato e passato il Vangelo alle generazioni future”. In tale
contesto storico non vi fu la volontà di comprendere le ragioni gli uni degli
altri, e non piccola fu l’ombra del potere politico che, nella frattura del
mondo cattolico, vedeva spiragli di nuovi equilibri.
Entrambe le parti sono da biasimare! I due orientamenti
(volendo semplificare le tante e varie diversità in una semplice e qui necessaria
distinzione dicotomatica), che da sempre si confrontavano attraverso le varie
scuole teologiche, gli Ordini e le Università, su tutti quegli aspetti e
questioni del Credo ancora aperti, lì dove non c’era ancora il dato dogmatico
(Trento, poi, provvide su quasi tutto), di fatto passarono dal raffronto allo
scontro e dallo scontro alla reciproca riprovazione ed esclusione: ognuno
diceva di sé vera Chiesa e l’altro era indicato e relegato a essere figlio del
Diavolo!
La divisione che si venne a creare fu tremenda, e non si
riuscì più a tenere il discorso teologico ed ecclesiologico in una possibile
visione ellittica (i due fuochi, le due realtà che “stanno insieme e cadono
insieme”); ci si abbarbicò sulle posizioni proprie, si escluse l’altra parte, l’altro
sentire, il diverso declinare la fede e la spiritualità. Si etichettò come
nemica/avversaria la parte diversa/avversa, e la ricerca della Verità, della
Dottrina e delle Origini, in vista di un ritorno al Vangelo, per una Riforma
che si affermasse come una conversione universale dei battezzati, fu la miccia
che bruciò l’Europa, e creò lutti e stragi innumerevoli.
Molti toni, molte note, per quella che sarà la grande
strada della Riforma, nei suoi momenti esaltanti e tremendi; le sue luci e le
tante tenebre, ciò che seppe costruire e ciò che distrusse! In realtà (su molte
questioni) si dicevano le stesse cose, ma con sensibilità e accentuazioni
diverse; forse mancò a entrambi le parti quello che auspicavano: la conversione
al Vangelo. Ne erano divenuti predicatori e non (mai) cantori innamorati!
In questo contesto si pone la figura di Gaetano Thiene, a
cavaliere tra ’400 e ’500, come uomo dalla forte radice medievale e dalla nuova
sensibilità portata dal Rinascimento. Uomo di studi umanistici eppur consapevole
che non è l’uomo il centro del mondo… Non incantato dal fluire sottile e
sciolto del cantore Erasmo, né chiuso dagli studi giuridici. Gaetano fu uomo
intriso di spiritualità incarnata, la sua carità sapeva di carne,
nell’assistenza agli ammalati presso gli ospedali dove prestava il suo
servizio. Uomo di preghiera, perché uomo dello stupore: Santa Maria gli aveva
messo tra le braccia, “senza cuore”, il Bambino Gesù. Uomo di fiducia, non gli
era mancato mai nulla: neppure quando le soldataglie lanzichenecche lo
catturarono, lo imprigionarono, lo malmenarono, lo torturarono. Gaetano
sperimenta la liberazione senza avere raccomandazioni nascoste, ma la
Provvidenza, all’ora puntuale della salvezza, esalta se stessa!
Nel contesto del suo tempo, delle lotte e delle divisioni
di quanti vogliono la conversione… degli altri, Gaetano Thiene scelse il
cammino umile e nascosto della sua personale vicinanza a Cristo, apprezzato tra
la povera gente, solo nelle città segnate dalla peste, dal bisogno.
Gaetano
ode assordante la voce di Gesù che lo chiama a seguirlo nel servizio e nella
relazione profonda, che è fiducia e certezza della Provvidenza. Questa fu la
scoperta di Gaetano, questo fu il suo ardito desiderio, il suo coraggio: dire a
Dio, se non mi dai il fuoco non mi hai dato nulla!!
Nessun commento:
Posta un commento