Caro Direttore,
La questione dei sacerdoti pedofili o omosessuali scoppiata da ultimo in Germania ha come bersaglio il Papa. Si commetterebbe però un grave errore se si pensasse che il colpo non andrà a segno data l'enormità temeraria dell'impresa. E si commetterebbe un errore ancora più grave se si ritenesse che la questione finalmente si chiuderà presto come tante simili. Non è cosí.
È in corso una guerra. Non propriamente contro la persona del Papa, perchè, su questo terreno, essa è impossibile. Benedetto XVI è reso inespugnabile dalla sua immagine, la sua serenità, la sua limpidezza, fermezza e dottrina. Basta il suo sorriso mite per sbaragliare un esercito di avversari. No, la guerra è fra il laicismo e il cristianesimo. I laicisti sanno bene che, se uno schizzo di fango arrivasse sulla tonaca bianca, verrebbe sporcata la Chiesa, e se fosse sporcata la Chiesa allora lo sarebbe anche la religione cristiana. Per questo i laicisti accompagnano la loro campagna con domande del tipo "chi porterà più i nostri figli in Chiesa?", oppure "chi manderà più i nostri ragazzi in una scuola cattolica?", oppure ancora "chi farà curare i nostri piccoli in un ospedale o una clinica cattolica?".
Qualche giorno fa una laicista si è lasciata sfuggire l'intenzione. Ha scritto: "l'entità della diffusione dell'abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli". Non importa che questa sentenza sia senza prove, perchè viene accuratamente nascosta "l'entità della diffusione": un per cento di sacerdoti pedofili? dieci per cento? tutti? Non importa neppure che la sentenza sia priva di logica: basterebbe sostituire "sacerdoti" con "maestri" o con "politici" o con "giornalisti" per "minare la legittimazione" della scuola pubblica, dei parlamenti o della stampa. Ciò che importa è l'insinuazione, anche a spese della grossolanità dell'argomento: i preti sono pedofili, dunque la Chiesa non ha autorità morale, dunque l'educazione cattolica è pericolosa, dunque il cristianesimo è un inganno e un pericolo.
Questa guerra del laicismo contro il cristianesimo è campale. Si deve portare la memoria al nazismo e al comunismo per trovarne una simile. Cambiano i mezzi, ma il fine è lo stesso: oggi come ieri, ciò che si vuole è la distruzione della religione. Allora l'Europa pagò a questa furia distruttrice il prezzo della propria libertà. à incredibile che soprattutto la Germania, mentre si batte continuamente il petto per la memoria di quel prezzo che essa inflisse a tutta l'Europa, oggi, che è tornata democratica, se ne dimentichi e non capisca che la stessa democrazia sarebbe perduta se il cristianesimo venisse ancora cancellato. La distruzione della religione comportò allora la distruzione della ragione. Oggi non comporterà il trionfo della ragion laica, ma un'altra barbarie.
Sul piano etico, è la barbarie di chi uccide un feto perchè la sua vita nuocerebbe alla "salute psichica" della madre. Di chi dice che un embrione è un "grumo di cellule" buono per esperimenti. Di chi ammazza un vecchio perchè non ha più una famiglia che se ne curi. Di chi affretta la fine di un figlio perchè non è più cosciente ed è incurabile. Di chi pensa che "genitore A" e "genitore B" sia lo stesso che "padre" e "madre". Di chi ritiene che la fede sia come il coccige, un organo che non partecipa più all'evoluzione perchè l'uomo non ha più bisogno della coda e sta eretto da solo. E cosí via.
Oppure, per considerare il lato politico della guerra dei laicisti al cristianesimo, la barbarie sarà la distruzione dell'Europa. Perchè, abbattuto il cristianesimo, resterà il multiculturalismo, che ritiene che ciascun gruppo ha diritto alla propria cultura. Il relativismo, che pensa che ogni cultura sia buona quanto qualunque altra. Il pacifismo che nega che il male esiste. Oppure resterà quell'europeismo retorico e irresponsabile che dice che l'Europa non deve avere una propria specifica identità, ma essere il contenitore di tutte le identità. Salvo poi ricredersi e andare nella cattedrale di Strasburgo a dire: "ora abbiamo bisogno dell'anima cristiana dell'Europa".
Questa guerra al cristianesimo non sarebbe cosí pericolosa se i cristiani la capissero. Invece, all'incomprensione partecipano molti di loro. Sono quei teologi frustrati dalla supremazia intellettuale di Benedetto XVI. Quei vescovi incerti che ritengono che venire a compromesso con la modernità sia il modo migliore per aggiornare il messaggio cristiano. Quei cardinali in crisi di fede che cominciano a insinuare che il celibato dei sacerdoti non è un dogma e che forse sarebbe meglio ripensarlo. Quegli intellettuali cattolici felpati che pensano che esista una questione femminile dentro la Chiesa e un non risolto problema fra cristianesimo e sessualità. Quelle conferenze episcopali che sbagliano l'ordine del giorno e, mentre auspicano la politica delle frontiere aperte a tutti, non hanno il coraggio di denunciare le aggressioni che i cristiani subiscono e l'umiliazione che sono costretti a provare dall'essere tutti, indiscriminatamente, portati sul banco degli imputati. Oppure quei cancellieri venuti dall'Est che esibiscono un bel ministro degli esteri omosessuale mentre attaccano il Papa su ogni argomento etico, o quelli nati nell'Ovest, i quali pensano che l'Occidente deve essere laico, cioè anticristiano.
La guerra dei laicisti continuerà, se non altro perchè un Papa come Benedetto XVI che sorride ma non arretra di un millimetro la alimenta. Ma se si capisce perchè non si sposta, allora si prende la situazione in mano e non si aspetta il prossimo colpo. Chi si limita soltanto a solidarizzare con lui o è uno entrato nell'orto degli ulivi di notte e di nascosto oppure è uno che non ha capito perchè ci sta.
Come tanti, anch'io ho qualcosa da dire...; perchè la vita è un impegno, un comandamento, una opportunità unica ed irripetibile! Sono parole, solo parole; nulla hanno di nuovo, ma confermano il pensiero di tanti che credono nel futuro a partire dal presente! E non c'è futuro senza la verità, che ci rende liberi.
venerdì 19 marzo 2010
giovedì 11 marzo 2010
Se 500 cristiani macellati non fanno notizia (di Antonio Socci)
Sui mass media la censura delle persecuzioni contro i cristiani continua in modi nuovi. E non parlo solo delle persecuzioni dei regimi comunisti o di quelli islamici.
Nei giorni scorsi, per esempio, in India, quindi in uno dei pochi stati democratici dell’Asia, sono stati arrestati centinaia di cristiani e addirittura tre vescovi cattolici, rei di aver promosso una marcia pacifica di 800 chilometri per sensibilizzare le autorità contro le discriminazioni ai danni dai “dalit” cristiani.
I “dalit”, cosiddetti “fuori casta” o “intoccabili”, sono quei 300 milioni di indiani che in base alla teologia induista da secoli sono considerati nulla e non hanno diritti.
Ebbene, i dalit convertiti al cristianesimo sono ancora più diseredati e discriminati degli altri, proprio perché cristiani. Alla pacifica richiesta di giustizia e uguaglianza da parte della Chiesa le autorità rispondono col pugno di ferro.
Questa vicenda però non buca le pagine delle cronache. Bisogna che scorra sangue cristiano – come l’anno scorso, proprio in India, nello stato dell’Orissa, con i feroci pogrom di fondamentalisti indù contro i cristiani – perché i perseguitati cristiani possano essere un po’ considerati dai nostri mass media.
Ma anche in questo caso c’è modo e modo. Ieri, per esempio, dalla Nigeria è arrivata la notizia di 300 cristiani (perlopiù donne e bambini) ammazzati da islamici a colpi di machete nel villaggio di Dogo Nahawee (poi si è appreso che le vittime sono almeno 500).
Su alcuni giornali – compreso il Corriere della sera – la notizia del massacro è stata data per quello che è, in quanto da qualche anno si è cominciato ad aprire gli occhi: ricordo che quando, dieci anni fa, pubblicai il mio libro-denuncia sul martirio in corso dei cristiani (“I nuovi perseguitati”, edizioni Piemme), molti colleghi, anche autorevoli direttori (ricordo in particolare Paolo Mieli), mi confessarono il loro stupore per un fenomeno che neanche avevano mai immaginato.
Ma c’è chi continua a disinteressarsene e privilegia la propria ostilità pregiudiziale. Così l’Unità ieri ha dedicato al massacro Doko Nahawee una breve e remota notiziola presentandola con questo titolo: “Nigeria. Oltre 100 morti in disordini tra musulmani e cristiani”.
Una mattanza di cristiani, perpetrata a freddo, diventa un generico “disordine” dove non sembrano esserci né vittime né carnefici.
In questo modo ovviamente non si comprende nulla nemmeno del quadro geopolitico generale, dove un vasto tentativo di islamizzazione dell’Africa da parte dei Paesi arabi trova spesso un sorprendente alleato nella Cina interessata al petrolio. Connubio evidente in Sudan.
Ma anche il genocidio del Sudan, dove il regime islamista del Nord per venti anni ha massacrato le popolazioni cristiane e animiste del Sud per imporre la sharia, facendo circa due milioni di vittime, può essere rappresentato come un generico scontro fra cristiani e musulmani, in quanto i cristiani col tempo hanno organizzato una loro resistenza al genocidio.
E in effetti talora si è rappresentata la situazione sudanese così, come un’interminabile serie di scontri fra musulmani e cristiani.
In realtà, per capire cos’è il Sudan basti riportare una dichiarazione di Peter Hammond, direttore di Frontline Fellowship, intervistato da WorldNetDaily (27.5.2001): “Qualche tempo fa, la Corte Suprema sudanese ha stabilito che la crocifissione degli apostati, cioè di persone che erano musulmane praticanti e che si sono convertite al cristianesimo, è costituzionale. E questo (sudanese) è lo Stato che ha rimpiazzato quello statunitense nella Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite”
Ma – per tornare alla Nigeria – ieri c’è pure chi ha fatto peggio dell’Unità. La Repubblica, addirittura in prima pagina, ha titolato alla maniera dell’Unità, confondendo vittime e carnefici: “Nigeria, massacro infinito tra cristiani e musulmani”.
Poi l’articolo di Guido Rampoldi, che stava sotto, ha superato l’Unità, perché non si è limitato a scolorire il macello del giorno, contro i cristiani, in una indefinita sequela di disordini e di scontri. Ha fatto molto di più. Ha realizzato un reportage dove si rappresentano i cristiani (soprattutto loro) nella parte dei feroci carnefici.
E com’è possibile, visto che le 300 vittime di Dogo Nahawee sono cristiane? Semplice. Rampoldi non fa un reportage da lì, dov’è la notizia del giorno, ma da Kuru Karama, dove due mesi fa vi è stato un assalto di cristiani con vittime musulmane.
Ora, che la Nigeria sia un paese diviso a metà fra cristiani e musulmani e che molti cristiani abbiano cominciato a rispondere alla violenza con la violenza, è purtroppo vero. E le violenze sono tutte egualmente da condannare: i vescovi cattolici infatti non si stancano di implorare i fedeli di non rispondere agli attacchi con le armi.
Ma la scelta di Repubblica è davvero singolare, perché il fatto del giorno, secondo le più elementari leggi del giornalismo, è l’eccidio di cristiani avvenuto a Doko Nahawee.
E fa una certa impressione che il reportage di Rampoldi liquidi il massacro, ancora caldo, di trecento o “forse cinquecento” cristiani in tre righe tre, rappresentando poi per tutta la pagina i cristiani come sanguinari sterminatori.
In genere sui mass media quello che si vuole evitare di vedere e di riferire è che in tutti i paesi islamici i cristiani e le altre religioni sono discriminate e perseguitate, mentre da nessuna parte i cristiani perseguitano i musulmani.
Dove sta il problema? Nell’establishment intellettuale dell’Occidente che pretende di vedere i cristiani sempre sul banco degli accusati e che non sopporta di riconoscerli come vittime.
E’ il pregiudizio anticristiano – soprattutto anticattolico – che ha impedito finora di accorgersi di una clamorosa e dolorosa verità: che, cioè, i cristiani (e specialmente i cattolici), negli ultimi 50 anni, sono stati e sono il gruppo umano più discriminato del pianeta, perché sono perseguitati sotto tutti i regimi e a tutte le latitudini, mentre loro non perseguitano alcuna religione o ideologia, ma, anzi, con un esercito pacifico di missionari e opere di carità, aiutano tutti i sofferenti e i diseredati, dovunque, di qualsiasi credo o idea o etnia, senza nulla chiedere in cambio.
Solo per amore. Chi altro predica e testimonia l’amore e l’amore anche per i nemici?
Uno dei pochi coraggiosi intellettuali a denunciare questa assurda situazione dei cristiani è stato lo scrittore ebreo-americano Michael Horowitz in un suo memorabile scritto nel libro di Paul Marshall e Lela Gilbert, Their Blood cries out (Dallas 1997).
Horowitz afferma che per governi e mass media l’idea che i Cristiani siano oggi delle vittime “semplicemente non è concepibile. Armati della conoscenza dei peccati commessi nel nome della Cristianità e orrendamente inconsapevoli del ruolo fondamentale della Cristianità nella storia dell’Occidente, le élite dei giorni nostri sono indotte a pensare ai Cristiani come coloro che perseguitano, non come le vittime”.
Così “un’élite intellettuale che nei suoi interventi ha avuto a cuore i Buddisti del Tibet, gli Ebrei della passata Unione Sovietica e i Musulmani di Bosnia, trova facile respingere l’idea che i Cristiani possano essere egualmente vittime”.
E quando nella cronaca tracima il loro sangue, si può sempre parlar d’altro o confondere le acque. Perché in fondo nemmeno i cattolici conoscono veramente le dimensioni della persecuzione alla Chiesa. E difficilmente si attivano per aiutare i propri perseguitati.
Alla fine però resta sempre in sospeso un inquietante interrogativo: perché, nel mondo, tanto odio contro i cristiani?
E perché, in Italia, la Sinistra giornalistica e politica è così acrimoniosa contro la Chiesa e ostile ai cattolici, se poi pretende di avere il loro consenso e il loro voto?
Nei giorni scorsi, per esempio, in India, quindi in uno dei pochi stati democratici dell’Asia, sono stati arrestati centinaia di cristiani e addirittura tre vescovi cattolici, rei di aver promosso una marcia pacifica di 800 chilometri per sensibilizzare le autorità contro le discriminazioni ai danni dai “dalit” cristiani.
I “dalit”, cosiddetti “fuori casta” o “intoccabili”, sono quei 300 milioni di indiani che in base alla teologia induista da secoli sono considerati nulla e non hanno diritti.
Ebbene, i dalit convertiti al cristianesimo sono ancora più diseredati e discriminati degli altri, proprio perché cristiani. Alla pacifica richiesta di giustizia e uguaglianza da parte della Chiesa le autorità rispondono col pugno di ferro.
Questa vicenda però non buca le pagine delle cronache. Bisogna che scorra sangue cristiano – come l’anno scorso, proprio in India, nello stato dell’Orissa, con i feroci pogrom di fondamentalisti indù contro i cristiani – perché i perseguitati cristiani possano essere un po’ considerati dai nostri mass media.
Ma anche in questo caso c’è modo e modo. Ieri, per esempio, dalla Nigeria è arrivata la notizia di 300 cristiani (perlopiù donne e bambini) ammazzati da islamici a colpi di machete nel villaggio di Dogo Nahawee (poi si è appreso che le vittime sono almeno 500).
Su alcuni giornali – compreso il Corriere della sera – la notizia del massacro è stata data per quello che è, in quanto da qualche anno si è cominciato ad aprire gli occhi: ricordo che quando, dieci anni fa, pubblicai il mio libro-denuncia sul martirio in corso dei cristiani (“I nuovi perseguitati”, edizioni Piemme), molti colleghi, anche autorevoli direttori (ricordo in particolare Paolo Mieli), mi confessarono il loro stupore per un fenomeno che neanche avevano mai immaginato.
Ma c’è chi continua a disinteressarsene e privilegia la propria ostilità pregiudiziale. Così l’Unità ieri ha dedicato al massacro Doko Nahawee una breve e remota notiziola presentandola con questo titolo: “Nigeria. Oltre 100 morti in disordini tra musulmani e cristiani”.
Una mattanza di cristiani, perpetrata a freddo, diventa un generico “disordine” dove non sembrano esserci né vittime né carnefici.
In questo modo ovviamente non si comprende nulla nemmeno del quadro geopolitico generale, dove un vasto tentativo di islamizzazione dell’Africa da parte dei Paesi arabi trova spesso un sorprendente alleato nella Cina interessata al petrolio. Connubio evidente in Sudan.
Ma anche il genocidio del Sudan, dove il regime islamista del Nord per venti anni ha massacrato le popolazioni cristiane e animiste del Sud per imporre la sharia, facendo circa due milioni di vittime, può essere rappresentato come un generico scontro fra cristiani e musulmani, in quanto i cristiani col tempo hanno organizzato una loro resistenza al genocidio.
E in effetti talora si è rappresentata la situazione sudanese così, come un’interminabile serie di scontri fra musulmani e cristiani.
In realtà, per capire cos’è il Sudan basti riportare una dichiarazione di Peter Hammond, direttore di Frontline Fellowship, intervistato da WorldNetDaily (27.5.2001): “Qualche tempo fa, la Corte Suprema sudanese ha stabilito che la crocifissione degli apostati, cioè di persone che erano musulmane praticanti e che si sono convertite al cristianesimo, è costituzionale. E questo (sudanese) è lo Stato che ha rimpiazzato quello statunitense nella Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite”
Ma – per tornare alla Nigeria – ieri c’è pure chi ha fatto peggio dell’Unità. La Repubblica, addirittura in prima pagina, ha titolato alla maniera dell’Unità, confondendo vittime e carnefici: “Nigeria, massacro infinito tra cristiani e musulmani”.
Poi l’articolo di Guido Rampoldi, che stava sotto, ha superato l’Unità, perché non si è limitato a scolorire il macello del giorno, contro i cristiani, in una indefinita sequela di disordini e di scontri. Ha fatto molto di più. Ha realizzato un reportage dove si rappresentano i cristiani (soprattutto loro) nella parte dei feroci carnefici.
E com’è possibile, visto che le 300 vittime di Dogo Nahawee sono cristiane? Semplice. Rampoldi non fa un reportage da lì, dov’è la notizia del giorno, ma da Kuru Karama, dove due mesi fa vi è stato un assalto di cristiani con vittime musulmane.
Ora, che la Nigeria sia un paese diviso a metà fra cristiani e musulmani e che molti cristiani abbiano cominciato a rispondere alla violenza con la violenza, è purtroppo vero. E le violenze sono tutte egualmente da condannare: i vescovi cattolici infatti non si stancano di implorare i fedeli di non rispondere agli attacchi con le armi.
Ma la scelta di Repubblica è davvero singolare, perché il fatto del giorno, secondo le più elementari leggi del giornalismo, è l’eccidio di cristiani avvenuto a Doko Nahawee.
E fa una certa impressione che il reportage di Rampoldi liquidi il massacro, ancora caldo, di trecento o “forse cinquecento” cristiani in tre righe tre, rappresentando poi per tutta la pagina i cristiani come sanguinari sterminatori.
In genere sui mass media quello che si vuole evitare di vedere e di riferire è che in tutti i paesi islamici i cristiani e le altre religioni sono discriminate e perseguitate, mentre da nessuna parte i cristiani perseguitano i musulmani.
Dove sta il problema? Nell’establishment intellettuale dell’Occidente che pretende di vedere i cristiani sempre sul banco degli accusati e che non sopporta di riconoscerli come vittime.
E’ il pregiudizio anticristiano – soprattutto anticattolico – che ha impedito finora di accorgersi di una clamorosa e dolorosa verità: che, cioè, i cristiani (e specialmente i cattolici), negli ultimi 50 anni, sono stati e sono il gruppo umano più discriminato del pianeta, perché sono perseguitati sotto tutti i regimi e a tutte le latitudini, mentre loro non perseguitano alcuna religione o ideologia, ma, anzi, con un esercito pacifico di missionari e opere di carità, aiutano tutti i sofferenti e i diseredati, dovunque, di qualsiasi credo o idea o etnia, senza nulla chiedere in cambio.
Solo per amore. Chi altro predica e testimonia l’amore e l’amore anche per i nemici?
Uno dei pochi coraggiosi intellettuali a denunciare questa assurda situazione dei cristiani è stato lo scrittore ebreo-americano Michael Horowitz in un suo memorabile scritto nel libro di Paul Marshall e Lela Gilbert, Their Blood cries out (Dallas 1997).
Horowitz afferma che per governi e mass media l’idea che i Cristiani siano oggi delle vittime “semplicemente non è concepibile. Armati della conoscenza dei peccati commessi nel nome della Cristianità e orrendamente inconsapevoli del ruolo fondamentale della Cristianità nella storia dell’Occidente, le élite dei giorni nostri sono indotte a pensare ai Cristiani come coloro che perseguitano, non come le vittime”.
Così “un’élite intellettuale che nei suoi interventi ha avuto a cuore i Buddisti del Tibet, gli Ebrei della passata Unione Sovietica e i Musulmani di Bosnia, trova facile respingere l’idea che i Cristiani possano essere egualmente vittime”.
E quando nella cronaca tracima il loro sangue, si può sempre parlar d’altro o confondere le acque. Perché in fondo nemmeno i cattolici conoscono veramente le dimensioni della persecuzione alla Chiesa. E difficilmente si attivano per aiutare i propri perseguitati.
Alla fine però resta sempre in sospeso un inquietante interrogativo: perché, nel mondo, tanto odio contro i cristiani?
E perché, in Italia, la Sinistra giornalistica e politica è così acrimoniosa contro la Chiesa e ostile ai cattolici, se poi pretende di avere il loro consenso e il loro voto?
lunedì 8 marzo 2010
La cultura di un popolo (da Elsa Morante)
Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini). Fra tali delitti ricordiamo, per esempio: la soppressione della libertà, della giustizia e dei diritti costituzionali del popolo (1925), la uccisione di Matteotti (1924), l’aggressione all’Abissinia, riconosciuta dallo stesso Mussolini come consocia alla Società delle Nazioni, società cui l’Italia era legata da patti (1935),la privazione dei diritti civili degli Ebrei, cittadini italiani assolutamente pari a tutti gli altri fino a quel giorno (1938).
Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti. Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo. Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani). Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto. Mussolini,uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo.
Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita.
Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare.
Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo.
Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti , i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando.
Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.
ELSA MORANTE
(Pagina di diario, pubblicata su Paragone Letteratura, n. 456, n.s., n.7, febbraio 1988, poi in Opere (Meridiani), Milano 1988, vol. I, pp. L-LII; e anche in Alfonso Berardinelli, Autoritratto italiano, Donzelli, 1998, pp. 29-31.)
Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti. Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo. Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani). Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto. Mussolini,uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo.
Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita.
Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare.
Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo.
Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti , i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando.
Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.
ELSA MORANTE
(Pagina di diario, pubblicata su Paragone Letteratura, n. 456, n.s., n.7, febbraio 1988, poi in Opere (Meridiani), Milano 1988, vol. I, pp. L-LII; e anche in Alfonso Berardinelli, Autoritratto italiano, Donzelli, 1998, pp. 29-31.)
domenica 7 marzo 2010
“QUALE È IL SUO NOME? ”
Mosè si prepara le risposte…«Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Mosè chiede a Dio il nome, il nome suo…, senza prima di aver sperimentato il cammino della relazione, il dono e la scoperta dell’incontro…; e non ottiene nulla se non l’invito di Dio ad andare!
Mosè è scomodato da Dio, è da lui visitato, nel tempo della quotidianità, durante il lavoro, in un luogo poco opportuno, arido, in mezzo ai rovi… esterni e quelli che ognuno di noi si porta dentro… e lì riceve una parola, una strada, un orizzonte nuovo, per portare il popolo in una terra nuova, con nuove prospettive, nuove realtà!!
Ma resta la domanda quale sia il nome di Dio…
Ma quale nome può avere Dio? Dio e non un dio??
In questo tempo di Quaresima siamo chiamati alla conversione della vita, delle opere, ma anche dei gesti intimi…, anche delle parole: queste sono chiamate a passare da realtà che navigano la superficie a parola che navigano la profondità.
In questo cammino di ecologia degli spazi intimi, dei pensieri espressi, con gesti e parole, facciamo esperienza di Gesù, Parola eterna di Dio! E’ lui il nome di Dio! Perché Gesù non è il dio delle parole, dei buoni sentimenti, dello zucchero filato…; ma il gesto vero –carnale e reale, storico!- di Dio.
Se noi guardiamo Gesù vediamo e conosciamo il Padre, che non a parole ci cerca, ci salva…; ma con e nei gesti concreti, nella fiducia vera, nella relazione intima…
In tale esperienza noi impariamo il nome di Dio…anzi i nomi di Dio, perché Dio è colui che nome non ha, avendo in sé il nome della realtà. La radice di ciò che c’è è in Dio…; ed Egli, perché la realtà ci sia, si sottrae, si “ritira”, espandendo se stesso, senza invadere ed occupare “l’eterno nuovo della creazione”.
Il nome di Dio è il nostro nome, la nostra vita, i nostri cammini!
Il Dio di Gesù Cristo da trascendenza ineffabile e irraggiungibile si è fatto vicinanza, amicizia, salvezza, via, cammino, riposo!
Ci sia nella nostra vita la consapevolezza dell’impegno, perché le nostre società non perdano il volto umano dell’uomo, sostituendolo con la convenienza, con l’affare sempre e a tutti i costi, con il guadagno facile ed immorale.
Le nostre società necessitano non di un novello Mosè, ma di una fede di popolo, serve la fede nella fede, di credere che cammini nuovi siano possibili, che un modo diverso di essere cittadini è realizzabile!
Il nostro Paese, fatto da milioni di brava gente, come tutti i Paesi, si ritrova a consegnare il proprio destino nelle mani di quattro furbetti del palazzo che hanno a cuore solo i loro destini, le loro vicende, organismi immoralmente modificati!… ed ecco che tutto va a rotoli!
Muoviamo i nostri cuori, le nostre intelligenze, recuperiamo gli insegnamenti dei nostri amici maestri di cultura, politica, arte, umanità…: è questo il tempo di arare i nostri aridi campi, è il tempo di necessarie potature negli stili di vita e di moralità.
Dobbiamo portare frutti, non solo mangiarli! Dobbiamo pensare di migliorare questo mondo non solo di usarlo, sfruttarlo; non possiamo abusare di esso, non dobbiamo abbrutirlo: cosa lasceremo ai nostri figli? Le parole della fede? Le parole della politica, le parole della cultura? O non più tosto una vita, una cultura, una presenza nella società che faccia onore alle nostre coscienze ed intelligenza cristiana?!
Dio non pianta, non semina, per tagliare, distruggere, disperdere…, ma perché porti frutto e questi frutti siano succulenti e buoni per noi e per l’umanità!
Mosè chiede a Dio il nome, il nome suo…, senza prima di aver sperimentato il cammino della relazione, il dono e la scoperta dell’incontro…; e non ottiene nulla se non l’invito di Dio ad andare!
Mosè è scomodato da Dio, è da lui visitato, nel tempo della quotidianità, durante il lavoro, in un luogo poco opportuno, arido, in mezzo ai rovi… esterni e quelli che ognuno di noi si porta dentro… e lì riceve una parola, una strada, un orizzonte nuovo, per portare il popolo in una terra nuova, con nuove prospettive, nuove realtà!!
Ma resta la domanda quale sia il nome di Dio…
Ma quale nome può avere Dio? Dio e non un dio??
In questo tempo di Quaresima siamo chiamati alla conversione della vita, delle opere, ma anche dei gesti intimi…, anche delle parole: queste sono chiamate a passare da realtà che navigano la superficie a parola che navigano la profondità.
In questo cammino di ecologia degli spazi intimi, dei pensieri espressi, con gesti e parole, facciamo esperienza di Gesù, Parola eterna di Dio! E’ lui il nome di Dio! Perché Gesù non è il dio delle parole, dei buoni sentimenti, dello zucchero filato…; ma il gesto vero –carnale e reale, storico!- di Dio.
Se noi guardiamo Gesù vediamo e conosciamo il Padre, che non a parole ci cerca, ci salva…; ma con e nei gesti concreti, nella fiducia vera, nella relazione intima…
In tale esperienza noi impariamo il nome di Dio…anzi i nomi di Dio, perché Dio è colui che nome non ha, avendo in sé il nome della realtà. La radice di ciò che c’è è in Dio…; ed Egli, perché la realtà ci sia, si sottrae, si “ritira”, espandendo se stesso, senza invadere ed occupare “l’eterno nuovo della creazione”.
Il nome di Dio è il nostro nome, la nostra vita, i nostri cammini!
Il Dio di Gesù Cristo da trascendenza ineffabile e irraggiungibile si è fatto vicinanza, amicizia, salvezza, via, cammino, riposo!
Ci sia nella nostra vita la consapevolezza dell’impegno, perché le nostre società non perdano il volto umano dell’uomo, sostituendolo con la convenienza, con l’affare sempre e a tutti i costi, con il guadagno facile ed immorale.
Le nostre società necessitano non di un novello Mosè, ma di una fede di popolo, serve la fede nella fede, di credere che cammini nuovi siano possibili, che un modo diverso di essere cittadini è realizzabile!
Il nostro Paese, fatto da milioni di brava gente, come tutti i Paesi, si ritrova a consegnare il proprio destino nelle mani di quattro furbetti del palazzo che hanno a cuore solo i loro destini, le loro vicende, organismi immoralmente modificati!… ed ecco che tutto va a rotoli!
Muoviamo i nostri cuori, le nostre intelligenze, recuperiamo gli insegnamenti dei nostri amici maestri di cultura, politica, arte, umanità…: è questo il tempo di arare i nostri aridi campi, è il tempo di necessarie potature negli stili di vita e di moralità.
Dobbiamo portare frutti, non solo mangiarli! Dobbiamo pensare di migliorare questo mondo non solo di usarlo, sfruttarlo; non possiamo abusare di esso, non dobbiamo abbrutirlo: cosa lasceremo ai nostri figli? Le parole della fede? Le parole della politica, le parole della cultura? O non più tosto una vita, una cultura, una presenza nella società che faccia onore alle nostre coscienze ed intelligenza cristiana?!
Dio non pianta, non semina, per tagliare, distruggere, disperdere…, ma perché porti frutto e questi frutti siano succulenti e buoni per noi e per l’umanità!
martedì 2 marzo 2010
ARGOMENTI DI CUI È MEGLIO TACERE! O FORSE NO. LE INCLINAZIONI PROFONDE.
A costo di passare per uno che ostenta, devo pur dirlo: sono un tipo fortunato! Sì, non in tutte le cose…, ad esempio nel gioco non sono fortunato; ma in altro sì, sicuramente. E se ripenso a quanto ho avuto, fino ad ora (non mettiamo limiti alla provvidenza), in questi anni, devo proprio affermare che ho dato poco, ma ho avuto tanto, forse anche troppo…; direbbe Simona, una mia amica napoletana, troppissimo! E sia, sono fortunato. Qualcuno mi potrebbe ricordare che la fortuna non esiste…; sì, forse è così! E se esiste essa è certamente “ancella Domini”.
Tra le mie innumerevoli fortune, di questi recentissimi anni, devo annoverare gli incontri non superficiali con tanta gente, ricca dentro e capace di fare avanzare la mia vita di molto in pochi mesi.
Tra gli incontri che mi hanno aperto a visuali inedite scorgo i volti e i nomi di ragazzi e ragazze che cercano di vivere i loro giorni nella complessità che porta la fede e le emozioni, la fede e il cuore, gli insegnanti di Gesù e le loro inclinazioni profonde.
Allora mi piace riportare quanto Andrea, amico di Roma, mi ha girato dal corriere.it - Forum "così è la vita " di Isabella Bossi Fedrigotti. E’ un articolo, che riporto quasi per intero.
Io e la fede
Provengo da una famiglia che mi ha dato un'educazione cattolica, sono sempre andato a Messa, al catechismo, all'oratorio.
Attorno alla maggiore età ho incontrato un sacerdote (…che non seppe aiutarmi) in un momento di grande dispiacere, unii questo aspetto alla condanna dell'omosessualità da parte della Chiesa e mi allontanai progressivamente anche dalla fede.
Non ho mai pensato di abbracciare movimenti religiosi "alternativi", l'anno scorso ho letto tanti libri (…), ho incontrato un frate che mi ha fatto riflettere (…). Il riavvicinarmi alla fede mi appariva come un atto di debolezza e di ipocrisia determinati dall'insicurezza che deriva dal convivere con un male mortale "tenuto a bada dai farmaci".
Il giorno dell'Epifania, in preda alla sovreccitazione (insonnia) che coincide con le prime assunzioni dei miei farmaci, sono andato alla messa del Cardinale Tettamanzi e nel pomeriggio all'Abbazia di Chiaravalle dove ho comperato un rosario di legno (che tuttora non so usare).
Da allora vado a Messa più volte la settimana (…), talvolta la stanchezza mi vince e rinuncio con dispiacere ad un momento di riflessione che porto con me per tutta la giornata.
So che la Chiesa condanna la mia omosessualità, che io vivo come se fosse una forma d'amore "del tutto normale", ma non importa, non cerco più la coerenza a tutti i costi lasciandomi pervadere da un'energia che mi dà pace.
Gianluigi
Confesso che non ho mai – e tutt’ora è così- avuto interesse o propensione a parlare “delle dinamiche interne” (espressione più asettica di così si muore!) delle persone; anzi confesso un non leggero fastidio…, ma per una mia certa ritrosia (pudore?) a toccare sfere della vita. E se ci ripenso questo sempre, anche nei tempi camerateschi dei venti anni.
Ora, per le vie strane e pur ragionevoli della vita, mi capita “di trattare” questo argomento…, e un po’ me ne stupisco: sarei molto più interessato alla evoluzione della polvere nei secoli…; ma tant’è… .
Per quanto mi riguarda, mi pare di capire che, in questi mesi, io non stia trattando “l’argomento”, ma incontrando persone…; non sto “discutendo” di problemi, ma sto incrociando gente! E nei colloqui, al bar dell’oratorio o in confessione, scorgo cuori, intelligenze, occhi, speranze… in altre parole incontro persone e non astratti concetti!
E capisco che l’approccio, quando è fatto con certi criteri asettici e un po’ cattedratici, si limita a guardare la gente, le persone, dalla cintola in giù! La ricchezza, le dinamiche, le speranze, le incertezze, la ricerca (fraterna) della verità, è come dimenticata. Non si coglie più il cuore del “problema”… che è l’Uomo; ma la problematicità anatono-funzionale…, e si semina nelle parole dette (forse con troppa facilità) concetti vergognosi e pericolosi (come quella brava donnina che al Family day chiedeva l’interramento per gli omo!).
Talvolta provo più raccapriccio per le certezze di certi maestri che per le richieste di coloro che non si pongono e non si sentono (e certamente non lo sono!) un problema, ma persone, amanti perché amati. Questi nostri fratelli, battezzati nella Chiesa, essi stessi Chiesa, chiedono vita alla loro vita, chiedono che abbia un corpo la loro speranza, che ci sia pace per le loro inclinazioni profonde: chiedono alla comunità di non essere invisibili, di non essere scartati!
Lo ammetto! Parlare di omosessualità ci imbarazza, ci impiccia, ci disturba, ci scandalizza, e ci divide. A non pochi irrita. E tali sentimenti travolgono i volti, le dignità, i giorni, di quanti vivono questa inclinazione profonda e crea in alcuni drammi di proporzioni inimmaginabili… Non solo, l’irritazione coinvolge spesso anche i sospettabili fiancheggiatori, come alcuni di noi preti: perché difendono questi…? Ci sarà un interesse…carnale?
Ed allora viene il tempo di dirla e dirla tutta per intero! Non dobbiamo temere l’ira dei moralizzatori, puttanieri di notte e bravi professionisti del buon esempio di giorno…., capaci di mandare al patibolo (cosa che accade in molti Paesi) i corpi e i destini di molti e molte, aggiungendoci anche la benedizione del dio di turno.
Qui non si tratta di fare aperture, creare varchi nelle mura, di dare falsi lasciapassare…, ma di ri-conoscere nei volti di uomini e donne battezzate, che vivono la loro inclinazione profonda, la comune chiamata all’amore, all’incontro-chiamata con il Dio di Gesù Cristo. Qui si tratta di vedere nei loro volti e giorni il destino dell’umanità chiamata ad essere una grande famiglia, chiamata a portare le parole bambine della fede e della speranza alla dimensione adulta di Cristo e della Storia.
Allora viene il tempo che anche noi Cattolici non possiamo ignorare il necessario dibattito, che non può partire da una iniziale condanna, da una premessa e promessa scomunica. Dobbiamo porgere gli occhi al volto di chi c’è accanto, riconoscerlo per quello che è, vederlo fratello e co-chiamato con noi e come noi in Cristo. Dobbiamo affrontare, con umile forza e forte umiltà, quei stereotipi e pre-giudizi che non appartengono al genuino cammino del Vangelo della pace.
Partire dalla costatazione che amare è bene, è bello, può metterci in una diversa prospettiva! Proviamo a camminare tutti assieme nella luce del Risorto, e ringraziamo Dio perché i nostri cuori sono profondamente inclinati all’amore. Siamo figlio di Dio, nessuno ne ha merito, tutti accogliamo il dono, la chiamata, la vocazione alla relazione con Dio, il prossimo e il creato. Questa chiamata al dono di Dio, all’amore vero e sincero, è comune a tutti gli uomini, i quali portano iscritto nel profondo la nostalgia dell’amore, il desiderio di amare, la speranza di essere amati.
Tra le mie innumerevoli fortune, di questi recentissimi anni, devo annoverare gli incontri non superficiali con tanta gente, ricca dentro e capace di fare avanzare la mia vita di molto in pochi mesi.
Tra gli incontri che mi hanno aperto a visuali inedite scorgo i volti e i nomi di ragazzi e ragazze che cercano di vivere i loro giorni nella complessità che porta la fede e le emozioni, la fede e il cuore, gli insegnanti di Gesù e le loro inclinazioni profonde.
Allora mi piace riportare quanto Andrea, amico di Roma, mi ha girato dal corriere.it - Forum "così è la vita " di Isabella Bossi Fedrigotti. E’ un articolo, che riporto quasi per intero.
Io e la fede
Provengo da una famiglia che mi ha dato un'educazione cattolica, sono sempre andato a Messa, al catechismo, all'oratorio.
Attorno alla maggiore età ho incontrato un sacerdote (…che non seppe aiutarmi) in un momento di grande dispiacere, unii questo aspetto alla condanna dell'omosessualità da parte della Chiesa e mi allontanai progressivamente anche dalla fede.
Non ho mai pensato di abbracciare movimenti religiosi "alternativi", l'anno scorso ho letto tanti libri (…), ho incontrato un frate che mi ha fatto riflettere (…). Il riavvicinarmi alla fede mi appariva come un atto di debolezza e di ipocrisia determinati dall'insicurezza che deriva dal convivere con un male mortale "tenuto a bada dai farmaci".
Il giorno dell'Epifania, in preda alla sovreccitazione (insonnia) che coincide con le prime assunzioni dei miei farmaci, sono andato alla messa del Cardinale Tettamanzi e nel pomeriggio all'Abbazia di Chiaravalle dove ho comperato un rosario di legno (che tuttora non so usare).
Da allora vado a Messa più volte la settimana (…), talvolta la stanchezza mi vince e rinuncio con dispiacere ad un momento di riflessione che porto con me per tutta la giornata.
So che la Chiesa condanna la mia omosessualità, che io vivo come se fosse una forma d'amore "del tutto normale", ma non importa, non cerco più la coerenza a tutti i costi lasciandomi pervadere da un'energia che mi dà pace.
Gianluigi
Confesso che non ho mai – e tutt’ora è così- avuto interesse o propensione a parlare “delle dinamiche interne” (espressione più asettica di così si muore!) delle persone; anzi confesso un non leggero fastidio…, ma per una mia certa ritrosia (pudore?) a toccare sfere della vita. E se ci ripenso questo sempre, anche nei tempi camerateschi dei venti anni.
Ora, per le vie strane e pur ragionevoli della vita, mi capita “di trattare” questo argomento…, e un po’ me ne stupisco: sarei molto più interessato alla evoluzione della polvere nei secoli…; ma tant’è… .
Per quanto mi riguarda, mi pare di capire che, in questi mesi, io non stia trattando “l’argomento”, ma incontrando persone…; non sto “discutendo” di problemi, ma sto incrociando gente! E nei colloqui, al bar dell’oratorio o in confessione, scorgo cuori, intelligenze, occhi, speranze… in altre parole incontro persone e non astratti concetti!
E capisco che l’approccio, quando è fatto con certi criteri asettici e un po’ cattedratici, si limita a guardare la gente, le persone, dalla cintola in giù! La ricchezza, le dinamiche, le speranze, le incertezze, la ricerca (fraterna) della verità, è come dimenticata. Non si coglie più il cuore del “problema”… che è l’Uomo; ma la problematicità anatono-funzionale…, e si semina nelle parole dette (forse con troppa facilità) concetti vergognosi e pericolosi (come quella brava donnina che al Family day chiedeva l’interramento per gli omo!).
Talvolta provo più raccapriccio per le certezze di certi maestri che per le richieste di coloro che non si pongono e non si sentono (e certamente non lo sono!) un problema, ma persone, amanti perché amati. Questi nostri fratelli, battezzati nella Chiesa, essi stessi Chiesa, chiedono vita alla loro vita, chiedono che abbia un corpo la loro speranza, che ci sia pace per le loro inclinazioni profonde: chiedono alla comunità di non essere invisibili, di non essere scartati!
Lo ammetto! Parlare di omosessualità ci imbarazza, ci impiccia, ci disturba, ci scandalizza, e ci divide. A non pochi irrita. E tali sentimenti travolgono i volti, le dignità, i giorni, di quanti vivono questa inclinazione profonda e crea in alcuni drammi di proporzioni inimmaginabili… Non solo, l’irritazione coinvolge spesso anche i sospettabili fiancheggiatori, come alcuni di noi preti: perché difendono questi…? Ci sarà un interesse…carnale?
Ed allora viene il tempo di dirla e dirla tutta per intero! Non dobbiamo temere l’ira dei moralizzatori, puttanieri di notte e bravi professionisti del buon esempio di giorno…., capaci di mandare al patibolo (cosa che accade in molti Paesi) i corpi e i destini di molti e molte, aggiungendoci anche la benedizione del dio di turno.
Qui non si tratta di fare aperture, creare varchi nelle mura, di dare falsi lasciapassare…, ma di ri-conoscere nei volti di uomini e donne battezzate, che vivono la loro inclinazione profonda, la comune chiamata all’amore, all’incontro-chiamata con il Dio di Gesù Cristo. Qui si tratta di vedere nei loro volti e giorni il destino dell’umanità chiamata ad essere una grande famiglia, chiamata a portare le parole bambine della fede e della speranza alla dimensione adulta di Cristo e della Storia.
Allora viene il tempo che anche noi Cattolici non possiamo ignorare il necessario dibattito, che non può partire da una iniziale condanna, da una premessa e promessa scomunica. Dobbiamo porgere gli occhi al volto di chi c’è accanto, riconoscerlo per quello che è, vederlo fratello e co-chiamato con noi e come noi in Cristo. Dobbiamo affrontare, con umile forza e forte umiltà, quei stereotipi e pre-giudizi che non appartengono al genuino cammino del Vangelo della pace.
Partire dalla costatazione che amare è bene, è bello, può metterci in una diversa prospettiva! Proviamo a camminare tutti assieme nella luce del Risorto, e ringraziamo Dio perché i nostri cuori sono profondamente inclinati all’amore. Siamo figlio di Dio, nessuno ne ha merito, tutti accogliamo il dono, la chiamata, la vocazione alla relazione con Dio, il prossimo e il creato. Questa chiamata al dono di Dio, all’amore vero e sincero, è comune a tutti gli uomini, i quali portano iscritto nel profondo la nostalgia dell’amore, il desiderio di amare, la speranza di essere amati.
Iscriviti a:
Post (Atom)