Come tanti, anch'io ho qualcosa da dire...; perchè la vita è un impegno, un comandamento, una opportunità unica ed irripetibile! Sono parole, solo parole; nulla hanno di nuovo, ma confermano il pensiero di tanti che credono nel futuro a partire dal presente! E non c'è futuro senza la verità, che ci rende liberi.
giovedì 30 settembre 2010
Donatori Sangue San Gaetano: Per inaugurare questo piccolo spazio dedicato al n...
Donatori Sangue San Gaetano: Per inaugurare questo piccolo spazio dedicato al n...: "Per inaugurare questo piccolo spazio dedicato al nostro gruppo donatori sangue, credo non ci sia nulla di meglio di un grande GRAZIE! Grazie..."
sabato 18 settembre 2010
PARTITO DEL SUD - Blog: I cialtroni e l'Unità d'Italia
PARTITO DEL SUD - Blog: I cialtroni e l'Unità d'Italia: "Di Luigi Capozza Ho letto con partecipazione e condivisione gli articoli di Franco Federico sulla politica e l’amministrazione meridionali..."
PARTITO DEL SUD - Blog: SQUITIERI, FILM DI MARTONE E' UN FALSO STORICO
PARTITO DEL SUD - Blog: SQUITIERI, FILM DI MARTONE E' UN FALSO STORICO: "(AGI) - Venezia, 10 set. - 'Il film di Martone, 'Noi credevamo' e' un falso storico. La falsita' ideologica continua a prevalere sull'obiet..."
venerdì 17 settembre 2010
Nessuno può servire due padroni (Lc 16,33)
Dio non è un padrone, ma padre, amante della vita, Signore della Storia, che in Cristo ci chiama alla libertà di essere liberi, cioè di essere noi stessi, capaci di relazione e di apertura agli altri, al mondo a Lui!
Ma ci sono realtà che ci prendono con sé, che ci trascinano come in catene (forse invisibili, ma non meno vere, atroci e crudeli!), che creano bisogni nuovi, spesso non veri, falsi…, che ci legano dentro, che ci rapiscono da noi stessi, che ci schiavizzano e ci trasformano in eterni bisognosi… di cose e non più di relazioni.
In tali circostanze anche le persone che incontriamo scadono al livello di cose e i nostri rapporti non sono liberalizzanti, umani, fraterni.
Ci accorgiamo che dipendiamo… da cose, cibo, bevande, droghe, lusinghe, apparenze, inchini… dal fumo della vanità, che è niente, e piano piano noi stessi diveniamo niente che cammina!
Chi hai visto, chi hai incontrato? Ah, sì: niente!
Ma una vita così, un divenire niente, è buttare i nostri giorni, è consegnare le opportunità della vita all’insignificanza, all’amarezza che monterà sempre più nei nostri cuori e nelle nostre intelligenze…
La Parola di questa domenica si concentra sulle ricchezze.., prima fra tutte la ricchezza di quello che siamo…, come siamo, perché anche il piccolo fiorellino sui monti, dove nessuno lo potrà vedere e cogliere, ha sempre il suo perché!
Ma il Vangelo ci parla anche delle ricchezze a noi affidate e da noi gestite. Non dimentichiamo che anche, se non soprattutto, la ricchezza, che spesso è fonte di disuguaglianze e di lotte, poiché crea una separazione tra gli uomini, può diventare strumento di fraternità. L’accoglienza nella nostra vita, infatti, della vita di Gesù può e deve cambiare –sconvolgere- anche l’ordine sociale, lì dove questo è basato su rapporti di sfruttamento umano, sociale, morale.
Il Vangelo ci mette in guardia dal pericolo di trasformare un’opportunità, una possibilità, qual è la ricchezza, in “mammona”, ossia in una realtà nella quale si ripone tutta la propria fiducia, e spesso ad essa, al denaro, si consegna il metro delle nostre scelte, valori e valutazioni. Sono molti coloro che hanno trasforma il denaro, le ricchezze, in un fine, scordando che tutte le ricchezze, quelle della persona e le cose, sono mezzo per il bene di tutti, e scorgerci ancora e sempre unica famiglia di Dio. Chi assolutizza le ricchezze scorda di dover dar conto…, di dover morire. Chi mette la ricchezza sulla linea dell’orizzonte morale ed esistenziale dimentica di aver avuto, dalla Provvidenza, l’onere di beni dati in amministrazione controllata…
La vera scaltrezza è di chi sa che tutto è dono di Dio, ed è un mezzo per entrare in comunione con il Padre e con i fratelli.
Gesù ci mette in guardia dalla tentazione di tenere il piede in due scarpe: si sta male e non si può camminare.
Il nostro cuore è sempre conteso tra due signorie. Ma esse sono incompatibili tra loro. Lo sappiamo per esperienza: diventiamo ciò dinanzi a cui stiamo: ne rispecchiamo l’immagine. Per questo, siamo invitati a camminare davanti a Dio usando dei i beni –dei suoi beni, a noi dati in amministrazione temporanea e finalizzata- per essere noi signori del mondo e delle cose, e non servi di strutture, che da umane facciamo scadere in crudeli produttrici di distanza, povertà, bisogno, disperazioni…, veleno per le nostre società e generazioni.
I beni se li mettiamo nella testa e nel cuore ci appesantiscono, se li mettiamo sotto i piedi ci elevano! Se sono fine, è la nostra fine; se sono strumento, come gli “elettrodomestici”, possono essere strumentali al bene di tanti, e –perché no?- di tutti! Infatti, le cose (idee, progetti, ricchezze, capacità) ci sono state affidate per esser messe in circolo, in comunione (sotto forme diverse: lavoro, idee, progetti industriali, grandi opere, scuole, ospedali, agricoltura, ecc), per il bene e il benessere di tutti.
Usiamo quanto abbiamo, e i beni anche intimi, per dire che siamo di Dio, discepoli di Gesù, fratelli tra noi! Scegliere questo modello di vita crea un mondo nuovo, dove l’uomo non è estraneo all’altro uomo, ma intimo, prossimo, dono…, il vero tesoro che Dio ci mette accanto!!
giovedì 16 settembre 2010
sabato 11 settembre 2010
Salvata Sakineh, ma lapidato il Medioevo
C’è un diritto all’ignoranza, ma per la povera gente che non ha potuto studiare, non per i premi Nobel, né per i “maestri del pensiero” che pontificano dalle prime pagine dei giornali prendendo topiche imbarazzanti.
Non si può far la guerra al pregiudizio usando i pregiudizi (più sciocchi), non si può combattere l’oscurantismo esibendo la più crassa ignoranza.
Tanto meno per una causa nobile come la salvezza definitiva della povera Sakineh, la ragazza iraniana dallo sguardo dolce e triste, di cui ieri è stata sospesa la lapidazione.
A cosa mi riferisco? Alla prima pagina della Repubblica di ieri. Che, sotto il titolo “L’appello dei Nobel ‘Salvate Sakineh’ ” riportava, in caratteri grandi, questo testuale virgolettato: “Fermiamo l’orrore sul corpo di quella donna. La lapidazione è medievale, una punizione che non esiste nel Corano”.
Assurdità
Mi sono stropicciato gli occhi e ho riletto: “la lapidazione è medievale”. Sotto questa colossale baggianata, riprodotta fra virgolette e in caratteri grandi, la Repubblica ha riportato i nomi dei Premi Nobel Shirin Ebadi, Luc Montagnier, Rita Levi Montalcini, Harald Zur Hausen, Claude Cohen-Tannoudji e Gerhard Ertl.
Ma dall’articolo si evince che la frase è dell’avvocatessa iraniana, premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi che ha testualmente detto: “La lapidazione è una forma di punizione medievale che non esiste sul Corano”.
Lasciamo perdere la seconda parte della frase (“una punizione che non esiste nel Corano”), anche se sospetto che i mullah di Teheran conoscano ciò che dicono il Corano e gli altri testi normativi dell’Islam meglio di noi.
La cosa che mi ha fatto sobbalzare è quell’altra, perché è platealmente falsa: “la lapidazione è medievale”. Non so se la Ebadi intendeva parlare del “Medioevo islamico”, ne dubito perché altrimenti avrebbe dovuto dirlo.
In ogni caso, siccome la Repubblica non esce in Iran, ma in Italia, siccome ha scritto Medioevo tout-court (senza l’aggettivo islamico), siccome questa è la definizione dell’epoca cristiana data dall’Illuminismo e siccome è tipico della cultura europea post-illuminista attribuire al Medioevo cristiano ogni turpitudine, è naturale intendere il “proclama” che ieri stava sulla prima pagina di Repubblica come un anatema contro il Medioevo per antonomasia, il nostro Medioevo.
E allora qui c’è da trasecolare. Quando mai nel Medioevo si sono lapidate le presunte donne adultere? Per scrupolo professionale ho voluto consultare un medievista a 24 carati come Franco Cardini che, ovviamente, ha negato che nel Medioevo i cristiani lapidassero le donne ritenute adultere.
Anzi. La celeberrima pagina del Vangelo in cui Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, prevista dalla legge ebraica di quel tempo, ha segnato una svolta storica. La pietà e il perdono di Dio irrompono nel mondo e lo ricreano.
Gesù liberatore delle donne
Quella pagina è una pietra miliare perché rappresenta in modo drammatico tutta la novità portata da Gesù rispetto all’antica Legge. E’ una rivoluzione che lui dovrà pagare con la vita.
Gesù mostra al mondo la struggente tenerezza di Dio verso i peccatori, rivela il “Padre misericordioso” che corre incontro al figlio scialacquatore pentito e lo riempie di abbracci e onori.
Gesù pronuncia parole durissime proprio contro quelli che si ritengono “perbene”, contro chi pretende di non essere peccatore, di non aver bisogno di perdono e di aver diritto di lapidare gli altri.
Questi “maestri della legge” vengono da lui chiamati “ipocriti” e “sepolcri imbiancati”. Gesù tuona: “Serpenti, razza di vipere! Come potrete evitare i castighi dell’inferno?” (Matteo 23, 4 e sgg). Gesù dice loro provocatoriamente: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno dei cieli” (Mt 21, 31).
Dopo Gesù il mondo non è più lo stesso. Finisce anche l’orrore della schiavitù femminile. Non si uccide più una donna per un suo presunto peccato. Era un orrore che accomunava tutte le civiltà antiche: nella Roma imperiale, patria del diritto, una donna poteva essere ammazzata dal marito o anche dal suocero perfino per motivi futili, come aver bevuto del vino.
Eva Cantarella, nel suo libro “Passato prossimo”, spiega che su una figlia il padre ha diritto di vita o di morte (Ponzio Aufidiano per esempio uccise la figlia innocente quando scoprì che era stata violentata).
E ovviamente il marito può uccidere la moglie in caso di adulterio di lei. Ma non viceversa. Catone diceva: “se sorprendi tua moglie mentre commette adulterio, puoi ucciderla impunemente; se lei sorprende te invece non può toccarti nemmeno con un dito”.
Era pratica sociale accettata la soppressione o l’abbandono delle figlie femmine o anche il cedere la propria moglie come Catone che dette Marzia all’amico Ortensio (anche Ottaviano si fece cedere Livia dal marito).
Con il cristianesimo inizia l’unica, vera e duratura rivoluzione per le donne. E’ con Gesù, letteralmente con la sua venuta, che la donna acquista una dignità che non aveva mai avuto e che, anche giuridicamente, è pari all’uomo. E la più alta fra le creature sarà la Madonna.
Ricordo che perfino Roberto Benigni, nelle sue letture della Commedia dantesca, commentando il XXXIII del Paradiso, che inizia con la celebre preghiera alla Vergine, diceva: “la donna ha cominciato ad avere la possibilità di dire ‘sì’ o ‘no’ da quando Dio stesso ha chiesto a Maria di Nazaret il suo libero sì o no”.
Il medioevo è la prima, grande fioritura della civiltà cristiana ed è finalmente l’epoca della storia in cui non si è più potuto lapidare la donna adultera, né considerare la donna un oggetto su cui esercitare diritto di vita o di morte.
Qualcuno obietterà: ma come, stiamo dandoci da fare per salvare una povera donna dalla barbara lapidazione e tu pianti una grana in difesa del Medioevo. Sì. Perché in definitiva la salvezza delle tante Sakineh sta solo nella novità portata dal cristianesimo. Come è stato per l’Europa.
E’ vero quindi l’esatto contrario di quanto proclamato dalla prima pagina di Repubblica. Proprio il Medioevo segna, nella storia mondiale, la fine di quell’orrore. La Ebadi avrebbe dovuto dire: purtroppo non siamo al Medioevo cristiano.
Ovviamente non è che il Medioevo sia stato pieno solo di santi: gli uomini continuavano a essere peccatori e barbari. Ma si era invertito il corso della storia che andava verso la sopraffazione e la violenza sistematica sui deboli, i vecchi, i malati, i bambini e le donne. Il Medioevo avrà avuto i suoi difetti, ma non lapidava le donne.
Umberto Eco, che è una firma autorevole di Repubblica ed è un appassionato di quell’epoca potrebbe spiegarlo in un attimo alla redazione di quel giornale. Perché è incredibile che il quotidiano più diffuso, un giornale importante come Repubblica cada in questo colossale errore.
Pregiudizi
Come può accadere? Mi dice Cardini: “perché sui media ci sono cose di cui si può parlare male impunemente: il Medioevo è una di queste. E lo si fa per parlar male del cristianesimo su cui tutti si sentono in diritto di sputare”.
C’è un meraviglioso libro della medievista francese Régine Pernoud, pubblicato da Bompiani, “Medioevo. Un secolare pregiudizio”, che demolisce proprio i tanti luoghi comuni calunniosi che dal Settecento sono stati ingiustamente diffusi sul Medioevo. Basati su falsità e ignoranza.
L’ignoranza, il preconcetto nutrito di luoghi comuni, la scarsa conoscenza della storia sono tutti ingredienti di quel, più ampio, planetario pregiudizio anticristiano, anzi “pregiudizio anticattolico”, che il sociologo Philip Jenkins, in un suo libro, ha definito “l’unico pregiudizio ammesso”.
In effetti l’epoca del “politically correct”, che ha messo al bando tutti i pregiudizi basati sull’appartenenza etnica, religiosa, sessuale o sociale, ammette solo quello contro la Chiesa cattolica.
Sulla Chiesa e sui cattolici di oggi e di ieri si possono impunemente sparare sentenze di condanna morale e culturale, immotivate e ingiuste.
Antonio Socci
Non si può far la guerra al pregiudizio usando i pregiudizi (più sciocchi), non si può combattere l’oscurantismo esibendo la più crassa ignoranza.
Tanto meno per una causa nobile come la salvezza definitiva della povera Sakineh, la ragazza iraniana dallo sguardo dolce e triste, di cui ieri è stata sospesa la lapidazione.
A cosa mi riferisco? Alla prima pagina della Repubblica di ieri. Che, sotto il titolo “L’appello dei Nobel ‘Salvate Sakineh’ ” riportava, in caratteri grandi, questo testuale virgolettato: “Fermiamo l’orrore sul corpo di quella donna. La lapidazione è medievale, una punizione che non esiste nel Corano”.
Assurdità
Mi sono stropicciato gli occhi e ho riletto: “la lapidazione è medievale”. Sotto questa colossale baggianata, riprodotta fra virgolette e in caratteri grandi, la Repubblica ha riportato i nomi dei Premi Nobel Shirin Ebadi, Luc Montagnier, Rita Levi Montalcini, Harald Zur Hausen, Claude Cohen-Tannoudji e Gerhard Ertl.
Ma dall’articolo si evince che la frase è dell’avvocatessa iraniana, premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi che ha testualmente detto: “La lapidazione è una forma di punizione medievale che non esiste sul Corano”.
Lasciamo perdere la seconda parte della frase (“una punizione che non esiste nel Corano”), anche se sospetto che i mullah di Teheran conoscano ciò che dicono il Corano e gli altri testi normativi dell’Islam meglio di noi.
La cosa che mi ha fatto sobbalzare è quell’altra, perché è platealmente falsa: “la lapidazione è medievale”. Non so se la Ebadi intendeva parlare del “Medioevo islamico”, ne dubito perché altrimenti avrebbe dovuto dirlo.
In ogni caso, siccome la Repubblica non esce in Iran, ma in Italia, siccome ha scritto Medioevo tout-court (senza l’aggettivo islamico), siccome questa è la definizione dell’epoca cristiana data dall’Illuminismo e siccome è tipico della cultura europea post-illuminista attribuire al Medioevo cristiano ogni turpitudine, è naturale intendere il “proclama” che ieri stava sulla prima pagina di Repubblica come un anatema contro il Medioevo per antonomasia, il nostro Medioevo.
E allora qui c’è da trasecolare. Quando mai nel Medioevo si sono lapidate le presunte donne adultere? Per scrupolo professionale ho voluto consultare un medievista a 24 carati come Franco Cardini che, ovviamente, ha negato che nel Medioevo i cristiani lapidassero le donne ritenute adultere.
Anzi. La celeberrima pagina del Vangelo in cui Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, prevista dalla legge ebraica di quel tempo, ha segnato una svolta storica. La pietà e il perdono di Dio irrompono nel mondo e lo ricreano.
Gesù liberatore delle donne
Quella pagina è una pietra miliare perché rappresenta in modo drammatico tutta la novità portata da Gesù rispetto all’antica Legge. E’ una rivoluzione che lui dovrà pagare con la vita.
Gesù mostra al mondo la struggente tenerezza di Dio verso i peccatori, rivela il “Padre misericordioso” che corre incontro al figlio scialacquatore pentito e lo riempie di abbracci e onori.
Gesù pronuncia parole durissime proprio contro quelli che si ritengono “perbene”, contro chi pretende di non essere peccatore, di non aver bisogno di perdono e di aver diritto di lapidare gli altri.
Questi “maestri della legge” vengono da lui chiamati “ipocriti” e “sepolcri imbiancati”. Gesù tuona: “Serpenti, razza di vipere! Come potrete evitare i castighi dell’inferno?” (Matteo 23, 4 e sgg). Gesù dice loro provocatoriamente: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno dei cieli” (Mt 21, 31).
Dopo Gesù il mondo non è più lo stesso. Finisce anche l’orrore della schiavitù femminile. Non si uccide più una donna per un suo presunto peccato. Era un orrore che accomunava tutte le civiltà antiche: nella Roma imperiale, patria del diritto, una donna poteva essere ammazzata dal marito o anche dal suocero perfino per motivi futili, come aver bevuto del vino.
Eva Cantarella, nel suo libro “Passato prossimo”, spiega che su una figlia il padre ha diritto di vita o di morte (Ponzio Aufidiano per esempio uccise la figlia innocente quando scoprì che era stata violentata).
E ovviamente il marito può uccidere la moglie in caso di adulterio di lei. Ma non viceversa. Catone diceva: “se sorprendi tua moglie mentre commette adulterio, puoi ucciderla impunemente; se lei sorprende te invece non può toccarti nemmeno con un dito”.
Era pratica sociale accettata la soppressione o l’abbandono delle figlie femmine o anche il cedere la propria moglie come Catone che dette Marzia all’amico Ortensio (anche Ottaviano si fece cedere Livia dal marito).
Con il cristianesimo inizia l’unica, vera e duratura rivoluzione per le donne. E’ con Gesù, letteralmente con la sua venuta, che la donna acquista una dignità che non aveva mai avuto e che, anche giuridicamente, è pari all’uomo. E la più alta fra le creature sarà la Madonna.
Ricordo che perfino Roberto Benigni, nelle sue letture della Commedia dantesca, commentando il XXXIII del Paradiso, che inizia con la celebre preghiera alla Vergine, diceva: “la donna ha cominciato ad avere la possibilità di dire ‘sì’ o ‘no’ da quando Dio stesso ha chiesto a Maria di Nazaret il suo libero sì o no”.
Il medioevo è la prima, grande fioritura della civiltà cristiana ed è finalmente l’epoca della storia in cui non si è più potuto lapidare la donna adultera, né considerare la donna un oggetto su cui esercitare diritto di vita o di morte.
Qualcuno obietterà: ma come, stiamo dandoci da fare per salvare una povera donna dalla barbara lapidazione e tu pianti una grana in difesa del Medioevo. Sì. Perché in definitiva la salvezza delle tante Sakineh sta solo nella novità portata dal cristianesimo. Come è stato per l’Europa.
E’ vero quindi l’esatto contrario di quanto proclamato dalla prima pagina di Repubblica. Proprio il Medioevo segna, nella storia mondiale, la fine di quell’orrore. La Ebadi avrebbe dovuto dire: purtroppo non siamo al Medioevo cristiano.
Ovviamente non è che il Medioevo sia stato pieno solo di santi: gli uomini continuavano a essere peccatori e barbari. Ma si era invertito il corso della storia che andava verso la sopraffazione e la violenza sistematica sui deboli, i vecchi, i malati, i bambini e le donne. Il Medioevo avrà avuto i suoi difetti, ma non lapidava le donne.
Umberto Eco, che è una firma autorevole di Repubblica ed è un appassionato di quell’epoca potrebbe spiegarlo in un attimo alla redazione di quel giornale. Perché è incredibile che il quotidiano più diffuso, un giornale importante come Repubblica cada in questo colossale errore.
Pregiudizi
Come può accadere? Mi dice Cardini: “perché sui media ci sono cose di cui si può parlare male impunemente: il Medioevo è una di queste. E lo si fa per parlar male del cristianesimo su cui tutti si sentono in diritto di sputare”.
C’è un meraviglioso libro della medievista francese Régine Pernoud, pubblicato da Bompiani, “Medioevo. Un secolare pregiudizio”, che demolisce proprio i tanti luoghi comuni calunniosi che dal Settecento sono stati ingiustamente diffusi sul Medioevo. Basati su falsità e ignoranza.
L’ignoranza, il preconcetto nutrito di luoghi comuni, la scarsa conoscenza della storia sono tutti ingredienti di quel, più ampio, planetario pregiudizio anticristiano, anzi “pregiudizio anticattolico”, che il sociologo Philip Jenkins, in un suo libro, ha definito “l’unico pregiudizio ammesso”.
In effetti l’epoca del “politically correct”, che ha messo al bando tutti i pregiudizi basati sull’appartenenza etnica, religiosa, sessuale o sociale, ammette solo quello contro la Chiesa cattolica.
Sulla Chiesa e sui cattolici di oggi e di ieri si possono impunemente sparare sentenze di condanna morale e culturale, immotivate e ingiuste.
Antonio Socci
The Economic Times VS Dawkins: l’ateismo è un atto di fede.
Il noto quotidiano indio-britannico The Economic Times , il più importante newspaper finanziario indiano, con una tiratura giornaliera di oltre 620.000 copie (il Corriere della Sera ne ha 519mila), ha affidato ad un suo opinionista una forte critica verso l’ateismo (o anti-teismo) moderno. Nell’articolo si legge: «Il Dio che Richard Dawkins [l'ateo più famoso del mondo] respinge è un Dio amorevole, compassionevole e misericordioso. E’ molto più facile accettare questo che rifiutarsi consapevolmente e ostinatamente come fa lui».
Verso la fine dell’articolo, l’editorialista mette in evidenza alcune contraddizioni che chi si professa ateo/anti-teista non può non incontrare: «Dire che l’ateismo rifiuta l’esistenza di qualsiasi divinità non ha senso. Come può qualcosa che non esiste essere respinta? I credenti evocano Dio e lo accettano come reale. Gli atei fanno la stessa cosa ma poi respingono l’idea definendola irreale. Sono atti di fede entrambi. Dico questo circa la forza della fede: non riusciamo infatti a vivere senza di essa».
Non riusciamo a vivere senza la fede perché la maggior parte dei nostri gesti quotidiani sono in realtà atti di fiducia verso altri, visibili o invisibile (e senza dover aspettare alcuna dimostrazione “scientifica”), poiché la fede è il metodo di conoscenza della realtà più utilizzato dall’uomo.
Verso la fine dell’articolo, l’editorialista mette in evidenza alcune contraddizioni che chi si professa ateo/anti-teista non può non incontrare: «Dire che l’ateismo rifiuta l’esistenza di qualsiasi divinità non ha senso. Come può qualcosa che non esiste essere respinta? I credenti evocano Dio e lo accettano come reale. Gli atei fanno la stessa cosa ma poi respingono l’idea definendola irreale. Sono atti di fede entrambi. Dico questo circa la forza della fede: non riusciamo infatti a vivere senza di essa».
Non riusciamo a vivere senza la fede perché la maggior parte dei nostri gesti quotidiani sono in realtà atti di fiducia verso altri, visibili o invisibile (e senza dover aspettare alcuna dimostrazione “scientifica”), poiché la fede è il metodo di conoscenza della realtà più utilizzato dall’uomo.
lunedì 6 settembre 2010
PARTITO DEL SUD - Blog: Far West all’italiana
PARTITO DEL SUD - Blog: Far West all’italiana: "di Claudio MessoraAngelo Vassallo, sindaco di Pollica, in provincia di Salerno, è stato assassinato. A colpi di pistola. Come nella più bie..."
domenica 5 settembre 2010
Silenzio! Dio e lo spazio dell'anima.
Se parlo con taluni di calcio, politica, vino ed affini... il discorso può prolungarsi di ore..., intorno al nulla!
Se parlo dei giorni, che paiono proprio finire, giorno dopo giorno..., a questa costatazione, vera e ineluttabile, il discorso di fa breve.
Se parlo di quanto Dio ci abbia rivelato, la nostra fine nel fine eterno di Lui..., il discorso si fa muto e termina!
Quanto non pertinente pudore in tutto ciò!
Dio, il nostro destino, l'eternità, il nostro io profondo, sono oggetto di silenzio più che di necessario incontro e reciproco conforto e sostegno.
Allora, io voglio parlare di Dio..., anzi di noi, degli uomini..., cioè di uno di noi, Maria di Nazareth.
Da subito dico che non è necessario cucire addosso a Maria chi sa che paroloni o che encomi…; fotografiamo i fatti: promessa sposa, avviata ad un suo progetto…, sovverte tutta la sua vita, le sue attese, di donna e di credente, e si mette nelle mani di Dio, sottoponendosi agli sguardi e ai giudizi degli uomini… per amore di Dio.
Ella, proprio perché seppe vivere il suo personale martirio, sotto la Croce, ebbe il mandato da Gesù, il nostro Maestro, ad essere madre… non nella carne, ma nel cuore, di tutti noi…, per il solo fatto che ci riconosciamo discepoli, amici, fratelli di Gesù.
Ecco perché Maria non è lontana dalla nostra vicenda di uomini e di credenti!
Tutto ciò la Chiesa non l’ha mai dimenticato di dirlo, di proporlo e di esaltarlo..., e questo -di per sè- è un miracolo!!
Infatti, se guardo la storia della Chiesa, vedo che, nel corso dei secoli e delle vicende, alcuni aspetti e dimensioni siano andati, anche se per brevi momenti, come in oblio, si siano eclissati. Invece, la figura -bella e grande, forte e affascinate- di questa donna è sempre stata grandemente amata e indicata.
Perché?
Perché veramente Maria è stata da Dio voluta grande, grandissima..., "Tutte le generazioni mi chiameranno beata".
Perché Maria è l’umanità che ha detto sì, e con quel sì l’amicizia di Dio con gli uomini, interrotta con il primo no dei nostri progenitori, ha ripreso il suo corso glorioso e bello!
Maria è l’umanità che, ricollocata nel giardino di Dio, Gesù, non ha avuto la pretesa di brillare di luce propria, come i nostri progenitori, ma ha scelto la luce di Dio, ha detto sì alla proposta inaudita e sovversiva dell’angelo!
Maria, con la sua fedeltà a Gesù, l’ha sostenuto sulla croce, ha alleviato –condividendone una parte- il dolore dell’abbandono…; e mentre i chiodi lo trafiggevano e lo inchiodavano, Maria, fedele fino alla Desolazione, lo sosteneva sulla croce per l’amore: veramente lei è stata come zeppa (di carne) infilata a terra, per sostenere e tenere dritto l’asse della croce!
Ella è la prima di noi, perché è stata la prima tra noi a darsi anima e corpo all’irruzione di Dio nel suo mondo, nella sua casa, nelle sue cose.
Ma se Maria è la prima, se lei è l’Immacolata per Grazia, è anche vero che ella non è una immacolata eccezione: la creazione è buona, il peccato è l’eccezione! La grazia è la norma, è nell’ordine della creazione… e tutti, in Cristo, siamo chiamati ad essere santi ed immacolati.
Maria,
sorella nostra
discepola di Gesù
creata madre dei figlio di Dio
sostegno e forza di Gesù nell’oscura ora della Croce
sostieni ed accompagna il nostro cammino verso Lui!
Se parlo dei giorni, che paiono proprio finire, giorno dopo giorno..., a questa costatazione, vera e ineluttabile, il discorso di fa breve.
Se parlo di quanto Dio ci abbia rivelato, la nostra fine nel fine eterno di Lui..., il discorso si fa muto e termina!
Quanto non pertinente pudore in tutto ciò!
Dio, il nostro destino, l'eternità, il nostro io profondo, sono oggetto di silenzio più che di necessario incontro e reciproco conforto e sostegno.
Allora, io voglio parlare di Dio..., anzi di noi, degli uomini..., cioè di uno di noi, Maria di Nazareth.
Da subito dico che non è necessario cucire addosso a Maria chi sa che paroloni o che encomi…; fotografiamo i fatti: promessa sposa, avviata ad un suo progetto…, sovverte tutta la sua vita, le sue attese, di donna e di credente, e si mette nelle mani di Dio, sottoponendosi agli sguardi e ai giudizi degli uomini… per amore di Dio.
Ella, proprio perché seppe vivere il suo personale martirio, sotto la Croce, ebbe il mandato da Gesù, il nostro Maestro, ad essere madre… non nella carne, ma nel cuore, di tutti noi…, per il solo fatto che ci riconosciamo discepoli, amici, fratelli di Gesù.
Ecco perché Maria non è lontana dalla nostra vicenda di uomini e di credenti!
Tutto ciò la Chiesa non l’ha mai dimenticato di dirlo, di proporlo e di esaltarlo..., e questo -di per sè- è un miracolo!!
Infatti, se guardo la storia della Chiesa, vedo che, nel corso dei secoli e delle vicende, alcuni aspetti e dimensioni siano andati, anche se per brevi momenti, come in oblio, si siano eclissati. Invece, la figura -bella e grande, forte e affascinate- di questa donna è sempre stata grandemente amata e indicata.
Perché?
Perché veramente Maria è stata da Dio voluta grande, grandissima..., "Tutte le generazioni mi chiameranno beata".
Perché Maria è l’umanità che ha detto sì, e con quel sì l’amicizia di Dio con gli uomini, interrotta con il primo no dei nostri progenitori, ha ripreso il suo corso glorioso e bello!
Maria è l’umanità che, ricollocata nel giardino di Dio, Gesù, non ha avuto la pretesa di brillare di luce propria, come i nostri progenitori, ma ha scelto la luce di Dio, ha detto sì alla proposta inaudita e sovversiva dell’angelo!
Maria, con la sua fedeltà a Gesù, l’ha sostenuto sulla croce, ha alleviato –condividendone una parte- il dolore dell’abbandono…; e mentre i chiodi lo trafiggevano e lo inchiodavano, Maria, fedele fino alla Desolazione, lo sosteneva sulla croce per l’amore: veramente lei è stata come zeppa (di carne) infilata a terra, per sostenere e tenere dritto l’asse della croce!
Ella è la prima di noi, perché è stata la prima tra noi a darsi anima e corpo all’irruzione di Dio nel suo mondo, nella sua casa, nelle sue cose.
Ma se Maria è la prima, se lei è l’Immacolata per Grazia, è anche vero che ella non è una immacolata eccezione: la creazione è buona, il peccato è l’eccezione! La grazia è la norma, è nell’ordine della creazione… e tutti, in Cristo, siamo chiamati ad essere santi ed immacolati.
Maria,
sorella nostra
discepola di Gesù
creata madre dei figlio di Dio
sostegno e forza di Gesù nell’oscura ora della Croce
sostieni ed accompagna il nostro cammino verso Lui!
sabato 4 settembre 2010
giovedì 2 settembre 2010
Parola di Vita (Settembre)
Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,22)
Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?". E Gesù: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Pietro, probabilmente, sotto l'influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com'era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. […] Ma Gesù rispondendo: "…fino a settanta volte sette", dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" . Così inizia il dilagare dell'odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena. A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza. Il perdono è l'unica soluzione per arginare il disordine e aprire all'umanità un futuro che non sia l'autodistruzione.
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello e la sorella così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" . Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Come si farà allora a vivere questa Parola? Pietro aveva chiesto a Gesù: "Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?". E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità. E' dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte. Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita. Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità tra fratelli. Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre far l'abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono. Si dirà: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto. Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.
Chiara Lubich
Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?". E Gesù: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Pietro, probabilmente, sotto l'influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com'era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. […] Ma Gesù rispondendo: "…fino a settanta volte sette", dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" . Così inizia il dilagare dell'odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena. A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza. Il perdono è l'unica soluzione per arginare il disordine e aprire all'umanità un futuro che non sia l'autodistruzione.
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello e la sorella così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" . Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
Come si farà allora a vivere questa Parola? Pietro aveva chiesto a Gesù: "Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?". E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità. E' dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte. Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita. Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità tra fratelli. Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre far l'abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono. Si dirà: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto. Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.
Chiara Lubich
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